Quando Samuel Slocum e Skyler Knapp vivevano in Michigan erano solo due giovani liceali che suonavano in una band e sognavano di avere successo nel mondo della musica. Il 2017 sembra una vita fa ma, se rapportato ai tempi in cui le cose accadevano sul serio, appare decisamente un’altra epoca. La New York in cui quei giovani ragazzi del Midwest si sono ritrovati per poter inseguire le loro ambizioni, non era ormai da tempo quella di Strokes, Interpol, LCD Soundsystem e tutte quelle band che l’hanno riportata al centro dell’atlante musicale dopo i gloriosi tempi del CBGB.
Non si sono comunque persi d’animo: hanno reclutato Nando Dale, Nico Brunstein e Layla Wayans, conosciuti nei vari giri dell’università che nel frattempo avevano iniziato a frequentare, e hanno formato i Been Stellar. Il nome, un omaggio sui generis a Ben Stiller (peraltro anche lui musicista, prima di intraprendere la carriera da attore) e il titolo del disco d’esordio, Scream From New York, NY, dicono di un’appartenenza fiera e voluta.
Ascoltando le dieci canzoni che hanno messo assieme, degna continuazione dell’EP e della manciata di singoli pubblicati in precedenza, è forte l’impressione che dopo il Post Punk sia arrivato il turno degli anni ’90, nell’eterno ciclo di remake e revival che è ormai divenuta la scena musicale contemporanea.
È una sensazione rafforzata dall’ascolto degli ottimi debutti di Sprints, Newdad ed English Teacher, nonché dello splendido sophomore dei Wunderhorse, visti dal vivo settimana scorsa in apertura ai Fontaines D.C., dove hanno sfoderato una prestazione maiuscola. Probabilmente adesso c’è voglia più di melodia e ritornelli drammatici, piuttosto che di chitarre abrasive unite ad oscuri martellamenti ritmici.
Vedremo cosa succederà; nell’attesa ci è sembrato utile andare a testare di persona la resa live dei Been Stellar, che arrivano per la prima volta in Italia nelle vesti di headliner (a marzo avevano invece suonato al Forum prima dei 1975).
L’Arci Bellezza, ormai sempre più locale di riferimento per questi concerti, è decisamente imballato, segno che l’hype suscitato dal quintetto è arrivato anche dalle nostre parti.
Si inizia alle 22 spaccate senza nessun tipo di intro, con la band che si limita a salire sul palco e saluta i presenti. Attacco potente con “Scream From New York, NY”, title track che è anche un efficace riassunto della proposta del gruppo. Anche i due brani successivi dettano il mood generale del set: “Passing Judgement” è uno degl episodi più incisivi dell’album, mentre “Start Again” è quello che lo apre, un mid tempo potente che ricorda un po’ gli Idles ma che si muove su coordinate più prettamente Alt Rock.
Il gioco di luci è molto bello, contribuisce a creare un’atmosfera scura e particolarmente raccolta, coi cinque che stanno spesso a testa bassa e non rendono visibile molto più delle sagome. I suoni invece non sono granché, nel senso che qui dentro abbiamo quasi sempre sentito di meglio: volumi in generale troppo bassi, chitarre eccessivamente dentro al mix, batteria molto alta, voce non sempre in evidenza. Mi è stato detto che in altri punti del locale si sentisse molto meglio (io ero in fondo) per cui probabilmente non è andata così male e sono io che sto esagerando. Resta il fatto che non mi è arrivata, se non a tratti, quella botta di energia che invece il gruppo è riuscito a dare in studio; anche, probabilmente, per il fatto che i nostri sono giovani e ancora piuttosto inesperti (Samuel Slocum, in particolare, non è apparso un frontman perfettamente navigato).
I pregi sono comunque di più dei difetti, e i Been Stellar hanno messo in piedi un bel concerto: Layla Wayans è un’ottima batterista, il tiro complessivo è buono e, soprattutto, ci sono i pezzi: probabilmente le loro primissime cose puntavano di più sull’immediatezza da hit single (vedi le irresistibili “Manhattan Youth” e “Kids 1995”, tra i momenti più caldi della serata) ma anche la vena più riflessiva e a tratti intimista che stanno esplorando ora funziona bene: lo dimostra il successo di “Pumpkin”, ballata malinconica che il pubblico accoglie benissimo, oppure gli echi Emocore di “All in One”, fino alla carica drammatica di “I Have the Answer”, preceduta da un’intro rumoristica di grande efficacia, e che chiude il concerto senza bis, dopo appena una cinquantina di minuti.
Qualche brano in più in effetti avrebbero potuto farlo, ma resta il fatto che i Been Stellar, ad oggi, sembrano avere tutte le carte in regola per poter diventare davvero grandi. È un’epoca di progetti derivativi, certo, ma questo gruppo possiede l’entusiasmo e la freschezza per poter piacere ai nostalgici e a chi non ha avuto la fortuna di assistere a quella straordinaria fioritura di band dei primi anni Duemila (che, a dirla tutta, era già anch’essa ampiamente derivativa).