Bello vedere che finalmente il Mojotic sia tornato a pieno regime, dopo lo stop della pandemia e la ripresa in formato ridotto (solo due serate) dello scorso anno. Per la verità io non ci venivo dal 2017, anno in cui si erano esibiti i Beach House, ma la ultradecennale rassegna ligure è da sempre sinonimo di qualità, con una programmazione fatta di band straniere importanti, non sempre scontate da vedere a casa nostra (avevano ospitato, tra gli altri, i Tame Impala all’epoca di Currents). Il tutto nell’affascinante località di Sestri Levante, ora nel contesto intimo del Teatro Arena Conchiglia, i cui spalti semicircolari sono posti a distanza molto ravvicinata dal piccolo stage, garantendo un’esperienza unica di visibilità.
Quest’anno, almeno dal mio punto di vista, avendo già visto i Black Country, New Road a Milano, il punto di interesse per una breve trasferta in terra ligure era rappresentato dalla presenza dei Bdrmm. La band di Kingston upon Hull ha pubblicato quest’anno I Don’t Know, il suo secondo disco, e gli spunti di interesse sono, a mio parere, più numerosi rispetto al debutto del 2022. Matrice Shoegaze sempre in primo piano, ma affiancata da numerosi altri elementi, uno spettro di influenze più ampio ed una scrittura che se da una parte sembra aver parzialmente abbandonato i ritmi serrati e le melodie killer, dall’altra si è fatta più elaborata e ricercata, segno di una maturazione stilistica e compositiva che, con le dovute incognite dovute al periodo, potrebbe anche elevarli tra i nuovi punti di riferimento dell’Indie Rock.
Di sicuro c’è che l’hype attorno a loro appare cresciuto moltissimo dopo la pubblicazione del disco: se quando si erano esibiti in apertura ai Mogwai lo scorso anno non li conosceva ancora nessuno, adesso c’è un tour da headliner parecchio esteso, torneranno da noi a novembre (questa volta a Milano) e questa sera, fatta salva la location non certo capiente, la risposta del pubblico è più che positiva, segno che il consenso attorno al quartetto britannico è ormai un fatto reale.
Prima di loro ci sono i Seele Brennt, che essendo di Genova giocano praticamente in casa. Si sono formati nel 2010 ma nel 2015 hanno subito un lungo periodo di stop interrottosi nel 2022, quando hanno rivoluzionato la formazione (ai membri originari Alessandro Zito alla batteria e Davide Vignolo al basso si sono aggiunti Emanuele Morena alla chitarra, Michele Ulivi alle tastiere e il cantante Mario Monero) e hanno deciso di riallacciare i ponti col passato, fissando il materiale già composto all’interno dell’EP Eppur questo non basta, una sorta di live in studio, con tutti i brani registrati in presa diretta.
Al di là del monicker, che rivela la fascinazione per gli Einstürzende Neubauten e per quel tipo di immaginario rumoristico, cinematografico e post industriale, la proposta del quintetto pare più orientata ad un Post Rock visionario, dove gli elementi al confine col Progressive sono più di uno e dove la presenza di una voce recitata al posto del cantato provoca un’immediata associazione coi Massimo Volume. Associazione in verità solo superficiale, perché se è vero che il modo che Mario Monero ha di declamare i testi può apparire vicino a quello di Emidio Clementi, le tessiture strumentali sono poi radicalmente diverse, soprattutto perché la tastiera ha un ruolo fondamentale e c’è un discreto uso del wall of sound e di esplosioni chitarristiche.
Nella mezz’ora che hanno avuto a disposizione hanno fatto bene e mi hanno fatto venire voglia di risentirli in un concerto tutto loro. Le canzoni sono buone e i testi sufficientemente efficaci, forse l’unica cosa da sistemare è l’amalgama tra voce e parte strumentale, perché al momento le due componenti non risultano ancora perfettamente in armonia. Al di là di questo, i Seele Brennt sono una bella realtà, si muovono su un territorio che in Italia è percorso da pochi e hanno dunque le potenzialità per combinare grandi cose. Attendiamo fiduciosi.
I Bdrmm li avevo già visti l’anno scorso, nella già citata data coi Mogwai al Fabrique di Milano (hanno pubblicato questo nuovo disco con la Rock Action, label proprietà degli scozzesi) e mi avevano favorevolmente impressionato, nonostante il loro esordio fosse passato anche dalle mie parti un po’ in sordina.
Questa sera hanno tutto il pubblico lì per loro, che siano fan o semplici curiosi, e partono carichi a mille. L’inizio infatti è ottimo, con le pulsazioni Dub di “Alps”, traccia tanto splendida quanto spiazzante nell’indicare il nuovo corso del gruppo, un brano che potrebbe tranquillamente essere uscito dal songbook dei Notwist e che i nostri interpretano con maestria, tuffandosi poi in “Be Careful”, questa più vicina alla matrice degli esordi, ma decisamente migliorata nella ricerca melodica.
Resa sonora perfetta e prestazione solidissima, pur con qualche pausa di troppo tra un brano e l’altro (ci sono stati problemi tecnici ma mi è parso di intravedere anche un po’ di inesperienza) ma per il resto viaggiano alla grande, con Conor Murray ottimo dietro le pelli, Jordan Smith che si divide tra basso, Synth e cori (interessante il ruolo che ha dietro il microfono, con tutto un lavoro di voci filtrate che vanno spesso ad arricchire lo spettro sonoro) e le due chitarre di Joe Vickers e Ryan Smith (quest’ultimo si occupa anche delle parti vocali) a costituire il vero e proprio fulcro del gruppo.
Nonostante il parziale cambio di direzione infatti, dal vivo i Bdrmm sono ancora in tutto e per tutto un gruppo Shoegaze e ci tengono a ricordarlo ad ogni occasione, con lunghe tirate abrasive e rumorose, dove le chitarre hanno sempre un ruolo di primo piano. Inutile quindi dire che i momenti più emozionanti sono quando pigiano sull’acceleratore e soprattutto quando impreziosiscono i brani con lunghe code strumentali (l’accoppiata “Happy”/“(Un)Happy” ne è forse l’esempio migliore) che mettono in mostra un’amalgama strumentale ed una coscienza dei propri mezzi niente male per dei ragazzi così giovani.
Molto bene nuovi pezzi come “It’s Just a Bit of Blood” (in odore di primi Radiohead) e “Pulling Stitches”, anche se l’impressione è che il pubblico gradisca soprattutto le cose vecchie (fantastica in particolare “Push/Pull”) che sono quelle comprensibilmente più immediate.
Da segnalare anche il singolo “Port”, suonata in conclusione, che è uscita l’anno scorso e che ha notevolmente anticipato la svolta stilistica che sarebbe avvenuta. Senza dubbio più riflessivi, hanno dimostrato che quando vanno in quella direzione, con Jordan Smith che aggiunge il Moog alle chitarre, hanno tutta una vasta gamma di possibilità espressive da sperimentare.
C’è un solo bis ed è la potente “A Reason to Celebrate”, che ci riconduce sul terreno del primo disco e che porta il pubblico ad un ultimo entusiasta giro di ballo (a tal proposito, è stato bello vedere come, dopo una manciata di canzoni, gran parte dei presenti sia scesa dalle gradinate al piccolo spazio della platea, per potersi dimenare più liberamente al ritmo della musica).
Gran bel concerto e sicura vittoria, per questa prima data italiana da headliner. Li aspettiamo a novembre all’Arci Bellezza, se ve li siete persi vale la pena recuperare.