Ritengo necessaria una prefazione a quanto ho già pubblicato su Tonito. Perché lo scritto ebbe una gestazione inconscia, con diverse annotazioni nel mio diario a precederlo di anni e per anni.
L’idea di creare qualche cosa di più coerente mi arrivò molto tempo dopo, appunto.
Quindi mi trovai con il problema di avere ampi spazi vuoti nella narrazione e, anche, la sua morte senza nulla di definito, nemmeno la data.
Provai a rintracciare i familiari, ovvero l’unica persona che sapevo vivente (e poi ne ebbi certezza): la quale non rispose alla mia lettera. Quindi, il mio percorso è stato in solitario.
Per molti anni mi è capitato di sognare Tonito (sogno spesso persone morte: tutte importanti per me), le ultime volte era vivo, perché non era mai effettivamente morto (come egli mi disse in un sogno precedente): questo non è Analyze This[1] per due motivi: non è una commedia e non è neanche un modo per uscire da uno stato psicologico sgradito.
Io non credo neanche nell’aldilà.
Sotto un profilo, per così dire, di stile e contenuti desidero precisare, per chi avrà la pazienza di leggere sia queste righe sia il testo vero e proprio, che tanto la necessità di sua autonomia da altri post, quanto il fatto che parti di altri post attingono in effetti da quel lungo scritto (che ho iniziato nel 2005 e rielaborato per anni, per più ragioni) conducono a qualche duplicazione di concetti e/o di citazioni.
“Hugo Pratt si spostò su un fianco ora ma con la stessa cautela con la quale prima si era coperto la testa come se volesse nascondersi. […]
“La telefonata da Londra lo aveva sorpreso mentre stava spogliandosi […]
“Era senza dubbio lì Hugo Pratt, steso sul letto della sua casa veneziana, ma era anche simultaneamente altrove, presente in tutti i luoghi in cui aveva vissuto e con la stessa ubiqua affannosa sensazione di disfacimento, quasi la paura che il suo corpo fosse una specie di mappamondo fracassato o esploso, le varie parti giacenti sotto i suoi occhi, e che ogni parte corrispondesse a una parte stravolta della sua esistenza, il nord confuso con il sud, l’est con il west e i paralleli e i meridiani dispersi come frecce sul pavimento non a caso coperto da un tappeto navajo.
“La notizia della scomparsa di Paco, forse della sua morte, della sua comunque misteriosa uscita dalla comune, doveva avergli procurato danni tali da lasciarlo in una specie di cupa confusa irrealtà dove i suoi pensieri si aggiravano soli e sperduti come svincolati da chi li stava pensando.”
(Alberto ONGARO, Un romanzo d’avventura, Milano, Mondadori, 1970, pagine 7 e 8).
Così si apre questo romanzo, e la sua rilevanza appare dalla citazione successiva, con una differenza: mentre Hugo Pratt non avrà mai la certezza della sorte del suo amico Paco, io – come in certi romanzi (o film) dove si parte dalla fine – sono in una posizione apparentemente opposta.
Questa citazione vuole però essere altresì un riconoscimento ad una storia che ha affascinato a lungo gli appassionati di Hugo Pratt, anche per la ragione che il libro non fu ristampato per decenni (nemmeno so se esita una sua seconda “edizione” mondadoriana oltre quella iniziale, ma ne dubito) e quindi contribuì alla leggenda prattiana e a molte illazioni sulle ragioni della sua difficile reperibilità (in quanto disconosciuto da Ongaro, amico del protagonista? In qualche modo “salingerianamente” censurato dallo stesso Pratt?).
Ora un poco di mistero è stato tolto, in quanto il libro è stato ristampato nel 2008 da Piemme, direi senza varianti, a parte una citazione omessa in frontespizio).
Quanti morti quest’anno? Quanti?
Torno a casa, stasera, e T[xxxx] mi telefona per dirmi che, probabilmente, è morto Tonito.
Cioè Dorian Gray non è sopravvissuto al quadro che voleva imitarlo negli eccessi. L’ho sempre chiamato la mia coscienza cattiva in grado di non invecchiare mentre io, così vicino alla regola, vedevo degradare il mio corpo. Sembra di sentire parlare della morte di Johnny Thunders, lontana migliaia di miglia, oppure – più romanticamente –, è Hugo Pratt che deve sopravvivere a Paco. Ma qui i ricordi sono pochi e quelli tutti belli ancor meno. Certo a un mito concedi anche di essere ricordato per quando ti disse di chi senz’altro era stato pugile in gioventù perché il muscolo [del braccio] si tendeva anche mentre quell’uomo, più vicino alla vecchiaia che alla semplice maturità, portava le focacce e da bere al tavolo vicino al nostro.
Non era piacevole ma sembrava quasi dare un senso al tardo pomeriggio domenicale andare da Tonito a comperare dischi e magliette con soldi che sarebbero diventati merce per scambi che tanto ci sarebbero stati comunque.
Lucky 13/One Per Center: ecco onore ad un czarniano ante litteram, un vero bastardo – ma se per scelta non lo so.
Quanto sopra è ciò che scrissi il 30 settembre 1996 nel mio diario[2]: qualche correzione fu fatta perché rischiava di essere poco comprensibile anche per me, ho tolto il nome di chi mi telefono; intanto in quei giorni io avevo a che fare con problemi familiari che resero quella notizia – sebbene da me diffusamente commentata – una sorta di lugubre sfondo al mio stato personale.
Usai la parola “mito” e tale rimase e rimane: mito perché in qualche modo dovevo aver compreso mentre scrivevo che Tonito non se ne sarebbe andato come altri mortali dalla mia vita intellettuale. E anche il termine “bastardo” attiene a un motto, di un badge che illustra queste righe.
[1] In Italiano Terapia e pallottole.
[2] Niente altro di testuale sarà da me citato da tale fonte. Questo è appunto un blog aperto al pubblico, non il mio diario. Preciso, anche, che ciò che pubblico come “tributo” è la versione più razionale e coordinata delle mie, forse ancora non finite, annotazioni; potrebbe, per più ragioni, non essere la versione definitiva, oppure potrebbe essere modificata con aggiunte o con eliminazioni.