Non fraintendetemi, da Taylor Swift ci sarei andato, se avessi potuto. Eppure, nella contrapposizione tra il mega evento di San Siro ed il piccolo Bao Music Festival, si possono intravedere alcune dinamiche interessanti che riguardano il futuro della musica dal vivo.
La rassegna che Bao (Brescia Arts Observatory), progetto nato nel 2022 dall’Associazione Lampedée APS, organizza tra Brescia, Franciacorta e Val Trompia, ha a che fare con la sostenibilità dell’impatto ambientale, la riscoperta del territorio (nel pomeriggio vengono sempre organizzate escursioni con guide professioniste in alcuni luoghi significativi della zona) e la possibilità di ammirare artisti poco noti, spesso dediti a proposte sperimentali e poco convenzionali.
E così, dopo avere ammirato lo scorso anno i Širom sull’altopiano di Caregno, decido di recarmi a Monticelli Brusati, nel cuore della Franciacorta, per una di quelle che, a mio parere, è una delle serate più interessanti dell’odierna edizione della rassegna.
I concerti si svolgono in una location decisamente suggestiva, in uno spiazzo erboso nella parte alta del paese, accanto ad una bellissima chiesa di epoca romanica, e con una vista piacevole delle colline e delle valli circostanti. Qui è stata allestita un’area che, oltre a due palchi (uno per i Dj Set) comprende tavoli e sedie ed una cucina che prepara piatti tipici (quest’anno è tutto rigorosamente vegano) e serve birre artigianali.
Prezzi, inutile dirlo, assolutamente abbordabili, cosa che ci porta ancora una volta alla nostra considerazione: i grandi eventi come quello che questa sera si sta svolgendo a Milano, rappresentato solo una parte, e non quella principale, del mondo dei concerti. Si può scegliere di stare al centro dell’hype e di andare a sentire artisti mainstream, sia che la loro proposta piaccia davvero, sia che si voglia semplicemente cedere al desiderio di far vedere a tutti che si era presenti. Esiste però anche molto altro e, senza cedere alla tentazione di definirli migliori (a volte possono anche esserlo ma non è automatico) questi eventi più piccoli e a dimensione locale sono decisamente più significativi per la sopravvivenza di un circuito live nel nostro paese.
Il primo artista ad esibirsi questa sera è Donato Epiro, salentino, biologo di professione ma anche compositore elettronico (già attivo nel duo Cannibal Movie), che in quest’occasione riporta sul palco Fiume nero, il suo lavoro di debutto, uscito esattamente dieci anni fa. Si tratta di un disco che in parte assemblava composizioni precedenti e che mostra una sorta di quadro distorto e di una natura incontaminata, tra Drone disturbanti, bordoni ossessivi e visioni a tratti psichedeliche.
Musica spesso atonale, dalle molteplici sfumature Ambient, dove la melodia si intravede a spazzi, in mezzo ad una intricata stratificazione sonora in cui si percepisce inquietudine ed un senso di minaccia incombente. Non facile, come proposta, ma è davvero affascinante notare come la musica dia nuova vita al paesaggio circostante, offrendo nuovi contorni e punti di osservazione inediti, proprio mentre cominciano a calare le tenebre.
Quaranta minuti di grande fascino. Il suo ultimo lavoro, Rubisco, risale al 2019: speriamo di riuscire a sentire qualcosa di nuovo a breve.
Nessun cambio palco, visto che i Goat sono già pronti sull’altro stage ed attaccano a suonare immediatamente dopo, senza neppure mezzo secondo di pausa. Il quintetto giapponese ha da poco cambiato batterista ed è forse per questo che ora c’è una maggiore interazione sul palco, perché Koshiro Hino, chitarrista e compositore principale del gruppo, guarda più volte il nuovo arrivato per ricordargli i vari stacchi e i cambi di tempo.
Per il resto, l’esibizione dei nostri è fredda, asettica ed implacabile come quella vista a novembre a Torino. La simbiosi tra batteria e le percussioni di Rai Tateishi costituisce il fulcro di composizioni dove l’elemento ritmico la fa da padrone, con chitarra e basso spesso a seguire lo stesso pattern, ed il sassofonista Akihiko Ando che lavora tantissimo sulla respirazione, producendosi di volta in volta in rumori e note straziate e laceranti, che sottolineano soprattutto quei momenti in cui i cinque salgono d’intensità e avvengono i cambi di ritmo più significativi.
Perfetti in ogni dettaglio, affascinanti nel loro incedere che si muove tra Psichedelia, Jazz, Motorik e pura sperimentazione, il gruppo giapponese ha incantato ancora una volta i presenti, dimostrandosi ancora una volta come una delle migliori realtà in ambito cosiddetto “sperimentale”.
Se non conoscete i loro dischi, cercateli su Bandcamp (da poco è arrivato anche l’ultimo Joy in Fear, in precedenza venduto solo in formato fisico durante i concerti) e ringraziamo del fatto che, nonostante i costi lievitati, riescano ancora a girare l’Europa con regolarità (e anche questo, tutto sommato, ci dice che un modello alternativo è possibile).
Dopo di loro è il turno di Carmen Jaci, compositrice franco-canadese che, simpatica e appassionata, è stata una presenza costante per tutta la sera, chiacchierando coi presenti ed assistendo con grande entusiasmo ai due live precedenti.
Happy Child, il suo disco d’esordio, è uscito lo scorso anno, ma dal vivo il tutto è molto più carico, più vicino ad una Techno dalle ritmiche spezzate e fortemente decostruita a livello sonoro. Se le composizioni in studio indulgono spesso al lato più contemplativo, con una ricerca della melodia e commistioni con la musica classica che a volte può ricordare John Hopkins o compositori ibridi come Hania Rani, questa sera il set è più rumoroso ed incentrato sul ritmo e, nonostante le spigolosità e le forme irregolari, si capisce che è fatto per ballare. Sarà forse per questo che, pur riconoscendo il valore di certi passaggi ed apprezzando il modo in cui vengono disegnati i crescendo e i cambi di tempo, il set non ha del tutto convinto.
Serata comunque del tutto riuscita, che conferma ancora una volta come, nonostante le accresciute difficoltà del post Covid, si possano ancora organizzare eventi senza per forza finire in bancarotta o dover spillare migliaia di euro agli spettatori.
Il punto però, è sempre lo stesso: bisogna guardarsi attorno, essere curiosi, non limitarsi alle solite tre o quattro proposte più conosciute. In Italia, per quanto possa sembrare strano, l’offerta di musica dal vivo è ancora incredibilmente vasta: occorre solo avere voglia di cercarla.