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REVIEWSLE RECENSIONI
10/03/2018
Andrea Amati
Bagaglio a mano
Augurarsi il successo per un disco del genere è il minimo che si possa fare: “Bagaglio a mano” possiede tutte le carte in regola per lanciare il suo autore negli ambienti che contano, al di là di tutte le considerazioni che si possono fare sull’Indie, sui cantautori, su Sanremo e altre cose così.

Ci sono due possibili chiavi di lettura per questo disco, due possibili porte da cui entrare, entrambe assolutamente valide. La prima è data dall’opener “Mi sono perso”: un’introduzione parlata che fa capolino sopra un beat e una cassa dritta, per un brano costruito su un Synth Pop ironico e accattivante. Un brano musicalmente lontanissimo da quello che il cantautore di Santarcangelo ci aveva proposto nel suo precedente lavoro e che sembra ruotare attorno alla sempre annosa dialettica tra l’aspirazione al successo e l’esigenza di autenticità, tra le capacità personali e l’inevitabile “paraculismo” che occorre per arrivare laddove conta davvero.

La seconda è “Cose”, una ballata elegante e drammatica, con un ritornello che apre quasi in maniera epica, dove il violino dell’indispensabile Federico Mecozzi si fonde con le tastiere, valorizzando un’interpretazione vocale tra le più mature della carriera di Andrea. Qui si parla della possibilità di resistere in un mondo che ci spinge verso il basso, di trovare nei rapporti più cari quella verità a cui aggrapparsi laddove tutto sembra sprofondare (“A cosa potrò mai aggrapparmi, avrò modo di salvarmi, scappare insieme a te. Possiamo unirci nella lotta al grande vuoto, complici e migliori. E ritrovarci a braccia aperte, poi morire, morire di risate e di vita che prevale.”).

È un disco nato da un cammino lungo; di scrittura, di concerti, di vita. Alla base, l’idea di continuare la strada ma allo stesso tempo di togliersi di dosso i luoghi comuni, le etichette facili, le maschere che, volenti o nolenti, tutti si trovano appiccicati addosso nel momento in cui si affacciano nel mondo e provano a dire la loro. Sarebbe stato comodo definire Andrea Amati un cantautore a la De André, figlio di quella fiorente tradizione degli anni ’70 che, allo stesso tempo, è anche uno dei motivi per cui la musica italiana fa oggi così fatica a trovare la propria strada. Il primo disco, “Via di scampo”, andava in quella direzione, del resto: al di là del titolo/gioco di parole, anche i contenuti, con le dovute differenze di contesto musicale, erano figlie di quella tradizione lì. Aggiungiamo che da tempo ha un progetto parallelo con cui rivisita il repertorio dell’artista genovese e avremo detto tutto.

La realtà però è un’altra: Andrea Amati ascolta musica a tutto tondo, in ogni sua sfumatura e certe definizioni gli sono sempre andate strette. Si è dunque preso il suo tempo, ha scritto quello che voleva scrivere e ha fatto un disco come voleva lui, dove l’elettronica e gli strumenti acustici convivono senza particolari problemi; un disco certamente Pop, nella sua pura essenza, ma dove la tradizione anglosassone e quella italiana si mescolano naturalmente, in un insieme semplice ma allo stesso tempo ricco di densità.

In tutto questo, c’è il discorso della verità, dell’autenticità: arrivare ad essere veri, nella vita come nella musica, è il risultato di un processo lungo, raramente lineare, che passa per forza di cose dalla rinuncia, dalla delusione e dal sacrificio. E Andrea è uno che ha ben chiaro che non si potrebbe fare musica, se non si avesse questa ricerca della verità come ultimo orizzonte. Nasce da qui, il concetto del “Bagaglio a mano” evocato dal titolo: un viaggiare più leggeri, come dice lui, per portarsi dietro solo ciò che serve davvero, per camminare sicuri e arrivare alla meta.

Lo fa con nove canzoni scritte con passione e perfettamente equilibrate tra l’impatto diretto del Pop da classifica e la ricercatezza del cantautorato più elegante. Il talento che Andrea ha sempre avuto nel comporre melodie vincenti viene qui ulteriormente amplificato da un lavoro corale al limite della perfezione. La band che suona è sempre la stessa ed è sempre più affiatata, col chitarrista Massimo Marches che, nelle vesti di produttore, ha svolto un lavoro egregio nel far risaltare tutte le componenti del sound; dalla sezione ritmica, spesso aiutata dall’elettronica, che offre la spinta necessaria a tenere in piedi un edificio dove chitarre, tastiere e violino sono i mattoni sistemati insieme per mezzo di pregevoli soluzioni di arrangiamento.

Tanti i momenti di livello, oltre a quelli già citati: dalla cavalcata liberatoria di “Altrove” al rock epico de “Il muro”, dalla resistenza esistenziale di “Bacio botto” al finale di “Verrà il tempo”, scritta con l’aiuto del compaesano Francesco Braschi, che gioca in maniera pregevole con la ripetizione del tema centrale a mo di titoli di coda.

Oltre al brano di apertura, non mancano episodi dove il tono si fa più leggero, ironico, pur non nascondendo una certa amarezza. C’è “Carmen”, scritta con l’aiuto di Daniele Maggioli (che ha dato il suo contributo anche su “Mi sono perso”), un ritmo gradevole da danza popolare e un testo che racconta in maniera forse un po’ troppo didascalica la vita superficiale di una ragazza dei nostri tempi. Poi “La ballata della moda”, il brano di Luigi Tenco con cui siamo molto famigliari, visto che da anni è parte integrante degli show di Andrea. Una rilettura personale, estrema quasi, ma perfettamente a fuoco nel delineare una dinamica che può apparire forse storicamente superata (non esistono le Corporation degli industriali che decidono le tendenze della moda) ma assolutamente attuale nelle sue dinamiche psicologiche (siamo poi sicuri di essere completamente padroni dei nostri gusti personali?), soprattutto in quest’epoca di algoritmi e camere dell’eco.

Anche “Salvo” è un brano che si conosceva già, suonato spesso dal vivo negli ultimi anni. Qui però c’è stato un notevole cambiamento: la struttura è stata alleggerita e il mood reso più malinconico, facendo risaltare un testo tra i più belli scritti da Andrea, una storia che sembra quasi un decadente Noir in salsa romagnola.

Augurarsi il successo per un disco del genere è il minimo che si possa fare: “Bagaglio a mano” possiede tutte le carte in regola per lanciare il suo autore negli ambienti che contano, al di là di tutte le considerazioni che si possono fare sull’Indie, sui cantautori, su Sanremo e altre cose così.

In fondo però, non è nemmeno questo il punto: ringraziamo che Andrea è ancora così appassionato del suo lavoro da aver voluto nuovamente mettersi alla prova. Godiamoci queste canzoni senza fare troppi calcoli. Se avete bisogno di qualcosa di vero da ascoltare, sapete dove rivolgervi.