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REVIEWSLE RECENSIONI
01/10/2019
Status Quo
Backbone
Ecco il classico disco di cui, un buon recensore, se mai prendesse in considerazione un album degli Status Quo, dovrebbe parlare male. Ma come? Gli Status Quo? Ancora? Ma se sono bollitissimi…

Ecco, se fossi un buon recensore, farei esattamente questo ragionamento e anzi, forse nemmeno mi sarei ascoltato il disco. In realtà, dal momento che il mio livello è molto più basso e sono affetto anche da una cronica nostalgia verso gruppi che ascoltavo da ragazzino, Backbone l’ho ascoltato tutto, e più volte. E il compendio di tanti ascolti, non può che essere uno: se gli Status Quo vi facevano cagare quarant’anni fa, vi faranno cagare anche oggi; se, invece, vi piacevano, troverete anche in questo trentatreesimo capitolo della loro discografia qualcosa per cui godere.

In fin dei conti la questione è semplice: la band capitana da Francis Rossi, tra le più longeve dello star system, è dal 1968 che replica lo stesso disco, né più né meno. Insomma, la formula è costantemente la stessa, e se è vero che da tempo non ascoltiamo più la divertita potenza di una Whatever You Want, è altrettanto vero che i soliti tre accordi della premiata ditta continuano a fare il loro dovere. Che non è certo quello di scrivere pagine immortali di storia della musica (i loro giorni di gloria sono passati da tempo), ma di continuare a divertire con il loro boogie rock senza pensieri, leggero e divertente in studio, e che diventa estremamente trascinante nelle esibizioni dal vivo.

Backbone è la fotografia esatta di tutto quello che della band inglese già si conosceva, e se non ci sono veri motivi per acquistarsi questo ulteriore capitolo, nemmeno ve ne sono per disprezzarlo in toto. It’s only rock’n’roll, but i like it, diceva qualcuno, e questa è la vera essenza di una formula canzone che si mantiene viva e vegeta da più di mezzo secolo, nonostante, è quasi inevitabile, il tempo abbia logorato e sbiadito il canovaccio.

Il repertorio Status Quo è completo: ci sono i riff e i ritornelli furbetti di Waiting For a Woman e I See You In Some Trouble, imbevuti di cazzeggio adolescenziale, c’è il rock di Liberty Lane, che inizia con il tempo tenuto al campanaccio, stereotipo preistorico ma sempre efficace, c’è il boogie di Come See Some Slack sorretto dall’interplay caracollante delle chitarre, l’hard rock innocuo della title track, che sembra suonato da degli Ac/Dc profumatisi di lavanda o i coretti acchiapponi di Better Take Care, in odore Steve Miller Band anni ’80.

Come detto, nulla di nuovo sul fronte occidentale: gli Staus Quo, da cinquant’anni, sono prevedibili come un piatto di pasta in bianco, ma questo Backbone, seppur innocuo, sa ancora divertire. I fan di vecchia data ci si fionderanno. Per tutti gli altri il consiglio è di spararlo a tutto volume, mentre in macchina e coi finestrini abbassati, partite per una scampagnata sotto un cielo terso e un sole gentile. Saprà mettervi di buon umore.


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