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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
14/04/2025
Chuck Leavell
Back to the Woods: A Tribute to the Pioneers of Blues Piano
Riviviamo lo splendido tributo ai pianisti blues del noto tastierista americano legato all’Allman Brothers Band e ai Rolling Stones.

«Conosco alcuni bravi pianisti, ma... Chuck li batte tutti». (Gregg Allman)

«Gli Stones non sarebbero gli Stones senza Chuck Leavell». (Keith Richards)

(Estratti da “Rock Royalty”,  articolo pubblicato su atlantamagazine.com, 2011)

 

Sono già passati più di dieci anni da Back to the Woods, straordinario omaggio di Chuck Leavell a un’epoca che non c’è più. Ormai siamo abituati a considerare la chitarra come lo strumento blues per eccellenza, ma, nell’Ottocento, nelle case e in tutte le chiese vi era un pianoforte, la vera anima della “musica del diavolo” in quei tempi.

Sul finire del secolo la sei corde prende il sopravvento e i pianisti del genere, pur senza ottenere lo stesso riscontro dei colleghi “rivali”, riescono comunque a ritagliarsi uno spazio per merito delle derivazioni sopraggiunte nel corso degli anni, dal boogie-woogie al ragtime, passando per il jazz che poi si inerpica fino al rock and roll.

 

«Tutto nasce da un’intuizione di mio genero, Steve Bransford. La sua disciplina è la storia americana, con un'enfasi sulle arti visive e sulla musica roots. Mi ha consegnato tre CD di circa centocinquanta prime incisioni da ascoltare dicendomi: “Sai, ci sono stati molti progetti che hanno celebrato persone come chitarristi, cantautori e cantanti blues, figure del jazz e così via, ma per quanto ne so, nessuno ha reso omaggio ai primi pianisti blues, e penso tu sia la persona giusta per farlo”. Molte di queste registrazioni le conoscevo già, ma alcune erano nuove per me. Così mi sono tuffato a capofitto, con grande entusiasmo, in questo progetto».

(Estratto da intervista a boomercity.com, 2012)

 

In questo bellissimo album Leavell, una vita divisa tra Allman Brothers Band, Eric Clapton e Rolling Stones oltre ad aver fatto parte del noto ensemble denominato Sea Level, raccoglie quindici tracce, dopo una prima scrematura di cinquanta.

Si va dai cinque brani di Leroy Carr (“Evening Train”, “Low Down Dirty Dog”, “Naptown Blues”, “Mean Mistreater” e Memphis Town”) ai due di Little Brother Montgomery (“No Special Rider” e “Vicksburg Blues”), fino alla struggente “If You Haven't Any Hay” di Skip James, per poi toccare i più “recenti” Ray Charles (“Losing Hand” di Charles Calhoun, 1953) e Otis Spann (“Boots and Shoes”, 1963), ma la maggior parte delle registrazioni trattate è dell’era prebellica.

 

Non stupisce che, a fianco del leader (oltre al piano suona l’organo e canta) e alla ritmica costituita dal contrabbasso di Chris Enghauser e dalla batteria di Louis Romanos, sia accorso un manipolo di special guests di grande rilievo, quali il leggendario e mai troppo compianto Colonel Bruce Hampton in “I Got to Go Blues”, brano scritto dal pianista boogie-woogie Barrelhouse Buck Mc Farland, e la storica vocalist Candi Staton in “The Blues Is All Wrong”, accreditato a Leola Manning, figura di spicco del “gospel blues” ingiustamente dimenticata negli anni.

Anche l’istrionico Danny Barnes fa parte del gruppo, dividendosi tra voce, chitarra, l’amato banjo e la tuba, e regalando proprio con quest’ultima un tocco di New Orleans alla title track, opera di Charlie Spand, “famoso” un secolo fa per il suo stile barrelhouse. Infine non manca una spruzzata di fiati, con i formidabili Randall Bramblett e Tom Ryan impiegati in alcune canzoni fra cui la splendida rivisitazione di “Southern Casey Jones”, un classico di  Jesse James.

 

Le ospitate che fanno più sensazione sono comunque quelle di Keith Richards e John Mayer. Il primo trascina sornione la sua sei corde acustica su “Evening Train”, il secondo se la cava alla grande con il pezzo di Memphis Slim “Wish Me Well”. I due concludono la loro parte con una sfida a quattro mani, a colpi di lead guitar su “Boots and Shoes”. Un duetto avvenuto contemporaneamente, con entrambi in studio a respirare quell’incredibile atmosfera di altri tempi.

Un mood e un sound, presenti in tutto il disco, che catapultano in un istante nelle bettole infime e fumose degli anni Venti, dove i lavoratori si rifugiavano il venerdì a bere e ballare per dimenticare il peso della solita settimana difficile, annegando i pensieri e i dispiaceri nel whisky. In quei luoghi era sempre allocato un piano verticale e il musicista di turno era chiamato a sfoggiare un repertorio necessariamente versatile, destreggiandosi tra brani della tradizione popolare, jazz e blues. Ecco il succo di Back to the Woods: A Tribute to the Pioneers of Blues Piano, opera che dà lustro a un gruppo di artisti tuttora meritevoli di un pubblico più ampio, pianisti che rivivono grazie al progetto dell’insuperabile Chuck Leavell.

 

«L'obiettivo era unicamente il rendere omaggio a quei fantastici pianisti blues. Nel disco c'è un libretto di sedici pagine che illustra le vicende di questi artisti e spiega il ruolo del pianoforte in tale periodo della storia americana. Per quanto riguarda la musica in sé, la mia intenzione era di interpretarla in un contesto più moderno, con arrangiamenti contemporanei, ma mantenendo intatta l'essenza delle canzoni. In questo modo, si mostra come quei musicisti abbiano influenzato il mio stile. È stato un progetto molto mirato».

(Estratto da intervista a boomercity.com, 2012)