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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
03/10/2022
Bob Seger
Back in ‘72
“Sono più vecchio, ma corro ancora controvento”, è una frase illuminante, che esplicita la filosofia di vita appartenente al grande rocker americano Bob Seger, utilizzando i versi di uno dei suoi brani più famosi. Back in ’72 rappresenta l’inizio di questo percorso, caratterizzato da uno stile musicale diretto e dalla convinzione che la musica abbia uno scopo sociale e comunitario, al di là del semplice intrattenimento.

La musica può cambiare il mondo? Rimane un miraggio il disco che mette le mani addosso, che sbatte per aria, che “fa” qualche cosa alle persone che lo ascoltano? Nell’ottica di Bob Seger probabilmente con le canzoni non si fanno rivoluzioni, ma si scaldano e si infiammano i cuori di coloro che poi le rivoluzioni le fanno.

Cultura hippy e filosofie indiane si mescolano agli idoli Little Richard, Elvis Presley e forgiano il songwriter di Detroit, il quale, dopo alcuni singoli di successo nazionale insieme ai The Last Heard, esordisce nel mondo dei 33 giri a ventiquattro anni, nel 1969, con Ramblin’ Gamblin’ Man; in quel momento è già capo band nei Bob Seger System e fanno seguito altri due album finché si “mette in proprio” all’inizio del decennio seguente, realizzando Brand New Morning e Smokin’ O.P.’s .

Pubblica, poi, nel gennaio 1973, Back in ’72. Si tratta del suo secondo lavoro con la Reprise Records ed evidenzia una crescita nella stesura di musiche e liriche di alta qualità e rilevanza sociale, con argomenti attinenti al microcosmo del proletariato, che contraddistingueranno il prosieguo di carriera. Un trademark difficilmente dimenticabile, un’impronta tale da contribuire a dare le origini a un sottogenere, l’Heartland rock, insieme agli altri capiscuola Bruce Springsteen, Tom Petty, Steve Earle, Joe Ely e John Mellencamp.

 

Back in ’72 è un brillante lavoro autografo, tuttavia alle sei intense canzoni composte dall’artista americano si aggiungono tre azzeccate cover, per niente scontate e banali anche nell’arrangiamento, scelte per il forte significato didascalico e la spiccata affinità elettiva. L’opener "Midnight Rider", dal repertorio dell’Allman Brothers Band è lo storico manifesto di determinazione, disperazione e solitudine vissute da un fuorilegge sempre in fuga, e probabilmente rappresenta con questa metafora il turbinio dell’esistenza, sempre alla ricerca di verità e felicità che a mano a mano diventano evanescenti, fino a evaporare. Il buon Bob ne fa una versione sgargiante e destabilizzante, velocizzando il ritmo e strizzando l’occhio al gospel. Alla sorpresa di questo groove rivoluzionato si somma quella di avere come special guest J.J. Cale, l’artigiano della sei corde, che aggiunge atmosfere country blues a cori di stampo spiritual.

"Stealer" arriva dai Free, mitico gruppo inglese che tra la fine dei sixties e l’iniziale triennio della decade successiva ha confezionato potenti brani rock vicini all’hard, sapientemente miscelati con il blues elettrico; è una canzone apparentemente dal testo leggero, ove “rubare”, o, meglio, ricevere l’amore di un’altra persona significa in realtà staccarsi per un istante dal grigiore della città. La penultima traccia rivisita invece una perla di Van Morrison, "I’ve Been Workin’", e introduce uno dei temi cari a Seger, quello del lavoro, di quanto esso sia importante, ma non debba stravolgere e stremare. Il ruolo del partner, degli affetti e della famiglia sono centrali -situazioni che lui ben conosce dopo l’abbandono da parte del padre e conseguenti problemi economici- e non si possono soffocare in nome dell’industria e della produzione consumistica.

La dolcissima e romantica "So I Wrote You a Song" catapulta nella parte languida dell’universo “segeriano, legato ai sentimenti e all’amore, e ai rapporti incentrati sulle donne che questo porta con sé. Un mondo fatto di ballate emozionanti, che si slanciano fra trame di piano leggiadre e un intenso sfarfallio di chitarre, mentre "Rosalie" è un volo nell’altro lato del songwriter americano: un sanguigno rock and roll, con la chicca dello sferragliante “guitar solo” di Bill Mueller, antesignano di quanto accadrà più avanti negli anni con la Silver Bullet Band, compagna d’epiche avventure. Il brano è dedicato, non senza qualche riferimento polemico, a Rosalie Trombley, direttrice della programmazione musicale di CKLW, stazione radio ascoltata dai teenager di Detroit prima dell’avvento dell’FM. Un briciolo di frustrazione per la mancanza -allora- del successo globale pervade infatti nelle liriche, “Lei se ne intende di musica, così pure io, vedremo…”, comunque ciò che conta è la validità del pezzo, che verrà riproposto pochi anni dopo dai Thin Lizzy in un’incendiaria performance dal vivo. "Rosalie" è pure l’occasione per evidenziare le straordinarie doti della band che accompagna Seger in tale progetto. Lasciano il segno del Tulsa sound il mago delle tastiere Dick Sims, “the king of the rhythm” Jamie Oldaker, il gigante delle percussioni Sergio Pastora  Rodriguez e la futura Shakespears Sister Marcy Levy, ora conosciuta come Marcella Detroit, irrefrenabile con i suoi vocalizzi.

 

Here I am
On the road again
There I am
Up on the stage
Here I go
Playin' star again
There I go
Turn the page…

 

Uno dei cavalli di battaglia ai concerti, di cui esiste un’indimenticabile versione dal vivo in Live Bullet (1976), nonché uno dei motivi più amati in assoluto dai fan è "Turn the Page", malinconica ballad che tratta della problematica vita on the road. Sulla strada, con quell’orizzonte ampio e senza punti di riferimento, se non la successiva tappa laddove ancora suonare, per poi tornare in viaggio. Ogni giorno si volta pagina rendendosi però conto che ciò che importa di fronte a tanta libertà non sarebbe più il girovagare, bensì avere un luogo davvero amato dove andare, un porto sicuro e felice, un sogno che valga tutti quei chilometri da percorrere. E anche qui appare la similitudine con la corsa dell’esistenza, verso un posto che spesso non è chiaro e luminoso, ma un tunnel oscuro e senza uscita. I Metallica riprenderanno "Turn the Page" nella loro sorprendente raccolta Garage Inc. del 1998, e di fatto apriranno ancora un’altra porta e troveranno una diversa chiave interpretativa dal punto di vista lirico e sonoro, palesando tuttavia l’universalità e la continuità dei concetti presenti nella canzone.

 

"Turn the Page" rimane eterna pure per il celebre intro di sassofono di Tom Cartmell, successivamente noto con lo pseudonimo di Alto Reed, che proprio a partire da questo disco inizia la collaborazione con Bob Seger - del quale urge ricordare le buone qualità come pianista e chitarrista -, un binomio destinato a durare nel tempo. La celebrità di questo brano offusca un’altra perla all’interno del lavoro, la fiammeggiante title track.

"Back in ’72" è stata scelta non caso come titolo dell’album. Infatti incarna perfettamente il cambio di stile compositivo, un nuovo approccio nella stesura degli arrangiamenti e nella produzione; prima Bob Seger e compagni suonavano come tanti altri rock acts, ora delineano un sound proprio, unico. La voce, roca e potente, le chitarre spesso in primo piano e liriche sempre più politicizzate e lungimiranti, per colui che diventerà il cantore della classe operaia. “Tricky Dick, ha giocato d'astuzia, qualcosa che temevo avrebbe fatto. Nel '72. Oh, il '72” sono parole rivolte a Richard Nixon, utilizzando il nomignolo affibbiatogli già negli anni Cinquanta, quando si scagliò al limite della diffamazione contro Helen Douglas per ottenere un posto in Senato.

 

Il cantautore del Michigan si serve per alcune tracce anche della potente Muscle Shoals Band, rinomata per aver interagito con i giganti delle sette note, da Wilson Pickett ad Aretha Franklin, per tacer dei Rolling Stones. In "Neon Sky", mid-tempo con testi che ricalcano gli scenari di "Turn the Page", giganteggiano il basso pulsante di David Hood, il suadente electric piano di Barry Beckett, mentre echeggia con gusto la slide di Peter Carr, incrociandosi con la ritmica di Jimmy Johnson e il drumming delizioso di Roger Hawkins.

"I’ve Got Time" è la superba conclusione dell’album, un lento sfiziosissimo sospeso tra le congas di “Bonzo Eddie” Brown e il flute di Alto Reed. Il fraseggio di chitarra che accompagna il brano è delizioso e piacerà molto pure ai Boston: provate ad ascoltare la superhit "More Than a Feeling" e vi accorgerete di una notevole somiglianza.

 

La carriera di Bob Seger prosegue in maniera eccellente dopo Back in ’72, tocca l’apice nell’era con la Silver Bullet Band (1976-1995) e trova nuovo vigore nel recente Ride Out (2014). "Night Moves", "Hollywood Nights", "We’ve Got Tonight" e "Against The Wind" sono lì, indelebili, insieme ad un’altra manciata di canzoni meno celebri, ma di altrettanto valore, a raccontare la storia di un rocker dal cuore d’oro, che ha dato tutto se stesso per interpretare al meglio gli umori e malumori a stelle e strisce, senza mai svendersi, dedicandosi strenuamente a ciò che ama di più: la Musica.

 

“La mediocrità è facile, le cose belle richiedono tempo, le grandi hanno bisogno di impegno e sacrificio” (Bob Seger)