Anche noi non siamo immuni da censure o colpe, ma il resto è ben peggio.
Quando Groucho Marx dichiarò che egli non si sarebbe mai iscritto a un club che lo avesse avuto come socio[1], non faceva una battuta, ma una feroce autocritica.
Al di là di certe persone votate al clownesco che quindi prendono tale affermazione letteralmente e se la dimenticano, la frase è da apprezzare solo se la si condivide con almeno un pugno di polvere di disprezzo per sé da gettarsi negli occhi.
Chi conduce, in tutto o in parte, certi programmi televisivi[2], fa l’elitario fine a se stesso (o meglio, per se stesso): poi loro e gli artefici dei contenuti di tali trasmissioni se ne tornano a casa e magari ascoltano del bel “melodico” (nazionale o estero, i toni sono sempre quelli da balera), non perché non sia facile avere sempre voglia di perdersi in “Sister Ray” o in “Frankie Teardrop” – in effetti, non è facile – ma a causa di un loro radical chic-ismo tardivo e financo posticcio (non solo musicale, ma nella musica lo noto più spesso): ecco sto entrando nel tema del mediocre.
A me, del resto, infastidisce anche l’ascoltatore medio dei Rolling Stones, dei Led Zeppelin e naturalmente di The Beatles. Cioè ascoltatori, in fondo, di artisti ormai incontestati[3].
Escludendo gli ultimi, di cui continuo a non sopportare i due superstiti, trovo che la guasconaggine keithrichiardsiana o l’affettazione jimmypageiana, capelli (quelli che restano) grigi come la neve siberiana (sporca o pulita, rispettivamente), siano oggi molto gradevoli: ad esempio Page completamente riappacificato con Jeff Beck a me fa piacere e magari un telespettatore su qualche milione del Late Show con David Letterman va a cercarsi qualche disco o CD o audioliquido del grande virtuoso fenderiano[4].
Belli e quasi intimorenti sono questi autentici senatori, con volti solcati da vite al limite, come i guerrieri mongoli o vichinghi che si sfregiavano le gote e la fronte per indurre maggior timore negli avversari.
Ma il mediocre loro ascoltatore non migliora: tristo da giovane e tristo da vecchio, con il suo recinto musicale che egli (o ella) pensa preziosissimo nel contenuto e che invece si rivela uguale al suo proprietario: banale, comune (si direbbe nel gergo delle case d’asta).
Va un poco meglio con i seguaci dei “meno ascoltati”[5]: ecco perché, alla fine, dovendo avere qualche contatto umano, si finisce nei sonic élite a discettare – pur in toni spesso dopolavoristici – fra nostri pari su una sessione di Smile o su una partecipazione a “Sound of the Seventies” di david Bowie, o su una versione alternativa di “Computer Blue” in cui Wendy e Lisa sono lasciate – pantere – a ruggire e a zampare artigliate da un Prince lungimirante, o…, o…
[1] Il testo esatto e completo dovrebbe essere il seguente: ‘I sent the club a wire stating, ‘PLEASE ACCEPT MY RESIGNATION. I DON’T WANT TO BELONG TO ANY CLUB THAT WILL ACCEPT ME AS A MEMBER.”’
[2] Vorrei fare una nota nella nota, per meglio relegarlo: mi riferisco a “Cooltour” trasmesso da RAI5 con un Carlo Massarini imbolsito, qualche espediente per mascherare la calvizie (peraltro minima) come sicuro segnale di una insicurezza senile piuttosto triste.
Incidentalmente e per aneddotica: durante le ricerche per la mia tesi di laurea incappai in un manuale di Corporation Law con note ordinate alfabeticamente che contenevano note numeriche.
[3] A parte certe specifiche idiosincrasie, appunto: ma io non scrivo male dei Beatles come invece fa Piero Scaruffi rispetto a David Bowie.
[4] “La” chitarra del dirigibile al piombo è un gibsoniano. Il che non significa che entrambi non abbiano anche usato anche altre “asce” elettriche oltre alle loro preferite.
[5] Per parafrasare il titolo di una biografia su Nico: le sue canzoni mai trasmesse alla radio.