Chissà cosa penserebbe Nietzsche di Autogrill. Lui, Friedrich Nietzsche, la cui formula per la grandezza dell’uomo è “l’amor fati”, l’amore per il proprio destino. Questo concetto racchiude il significato di vivere senza rimpianti, imparando ad accettare le scelte, più o meno coraggiose, già fatte.
Ebbene la canzone di Guccini, ricca di immagini poetiche e di azzardi metrici magnificamente riusciti, elabora invece, proprio con rimpianto, cosa sarebbe potuto accadere se la sorte non avesse fatto entrare una coppia in quel piccolo autogrill, fermando il coraggio, la volontà di dichiararsi alla “ragazza dietro al banco”.
Autogrill viene pubblicata nel 1983, fa parte del disco intitolato minimalisticamente Guccini, che rappresenta una svolta moderna e più “musicale” dell’autore, percorso già iniziato con il precedente Metropolis. Le composizioni non sono studiate solo per voce, chitarre e scarno accompagnamento, ma necessitano sempre di un gruppo per essere interpretate, un gruppo di artisti che proprio da questa opera diverranno anche i soliti noti che si esibiranno dal vivo con lui. Il magnifico live Fra la via Emilia e il West uscirà l’anno successivo, infatti, e comprenderà in scaletta anche questa perla.
Sono molte le particolarità del brano in questione. Come sottolineato anche dal cantautore non è specificato un luogo e non esiste una storia. Questo consente a chi l’ascolta di poter identificare e personalizzare il racconto come vuole. Inoltre non figura un ritornello ben definito, e le parole sono un continuo gioco d’equilibrio tra le visioni e i sogni di chi narra e la realtà che sta vivendo.
“La ragazza dietro al banco mescolava birra chiara e Seven-up, e il sorriso da fossette e denti era da pubblicità, come i visi alle pareti di quel piccolo autogrill…”
“…Bella, d'una sua bellezza acerba, bionda senza averne l'aria, quasi triste, come i fiori e l'erba di scarpata ferroviaria, il silenzio era scalfito solo dalle mie chimere che tracciavo con un dito dentro ai cerchi del bicchiere...”
A fianco alla smisurata capacità di descrivere le persone e la situazione, si denota l’abilità nel far intuire, tra le righe, che i due personaggi si trovano all’interno dell’autogrill da soli. E qui scatta la molla del tentativo di corteggiamento con l’idea del creare prima un’atmosfera –“Vergognandomi, ma solo un poco appena, misi un disco nel juke-box”- per poi dichiararsi -“…poi prendendo la sua mano sopra al banco: “Non so come cominciare: non la vedi, non la tocchi oggi la malinconia? Non lasciamo che trabocchi: vieni, andiamo, andiamo via”..."-
In realtà la seconda parte del piano non andrà in porto proprio per niente -“Terminò in un cigolio il mio disco d'atmosfera”- anzi, qui si aggiunge un particolare che acuisce il rimpianto, non si tratta solo di sfortuna, vi è comunque il fatto di non essersi affrettati, il brano inserito nel juke-box è terminato, e in seguito subentra il destino: "Sovrastò l'acciottolio quella mia frase sospesa, “ed io... ", ma poi arrivò una coppia di sorpresa...”
Risulta meravigliosa la scelta di introdurre un garbato assolo di sassofono appena terminata la descrizione del giungere della coppia, che romperà l’incantesimo. Non solo, quindi, nelle parole di Guccini viene esplicitata la fine di una possibile magia, ma l’improvviso intervento di Claudio Pascoli propone un repentino cambio all’atmosfera musicale. Si predilige un suono caldo per questo assolo, quasi a voler significare l’accettazione di tale mutamento di programma.
E così, rassegnati, si può giungere alla chiusura amara di questa avventura, con già all’interno un’irridente nostalgia.
“…E in un attimo, ma come accade spesso, cambiò il volto d' ogni cosa, cancellarono di colpo ogni riflesso le tendine in nylon rosa, mi chiamò la strada bianca, "Quant'è?" chiesi, e la pagai, le lasciai un nickel di mancia, presi il resto e me ne andai...”
L’ultima strofa, oltre a identificare in modo sublime come pochi secondi possano modificare una situazione, è l’unica a offrire un’immagine molto cinematografica, da film americano, con la ripartenza verso la strada che chiama e soprattutto quel nickel di mancia gentilmente lasciato.
L’autore di Dio è Morto prolunga il canto in “andai” come per voler accompagnare all’uscita tutti i sogni scaturiti in quel piccolo autogrill, addolcendo la conclusione, per certi versi drammatica, della storia di una sconfitta.
“Le follie sono le uniche cose che non si rimpiangono mai.”
Oscar Wilde
Probabilmente il rimpianto per questa mancata opportunità, che, occorre notarlo, non prevede assolutamente una risposta della ragazza e tanto più il suo coinvolgimento, si riassume bene nell’aforisma di Wilde: la confessione alla giovane, prevista dal protagonista della storia, sarebbe rientrata in quelle coraggiose follie che modificano il tranquillo corso di vita e, sia in caso di successo sia di insuccesso, non avrebbe dato adito a rimorso.
Ciò non toglie che trastullarsi su quel che poteva accadere e non si è verificato rimane una di quelle riflessioni tipicamente umane di cui ci si nutre con ingordigia, tendendo a utilizzare solo il fato come giustificazione della mancata realizzazione.
Francesco Guccini dipinge cinque minuti intensi, di rara bellezza, pure l’adeguata melodia “crepuscolare” scelta risulta azzeccata e accarezza dolcemente la nostalgica circostanza vissuta. Il tema trattato, abbinato all’imprevedibile sviluppo delle vicissitudini, ha reso immortale questa canzone facendo scattare l’immediata immedesimazione dell’ascoltatore nella situazione descritta e rendendola una delle più amate nel suo repertorio.
Così si apre un dibattito contingente, cominciato poco tempo fa dopo una sua intervista: esistono anche nel 2021 composizioni di questo livello o adesso sono tutte inutili come da lui dichiarato?