“L’amore è un burrone. Ci si cade, ma non a picco.
Le pareti sono pizzute, ci si smembra. Amare è precipitare nel buio dell’altro”
(Jonny Costantino)
E poi il mondo finisce.
https://www.youtube.com/watch?v=vgo6Il1yMq0&ab_channel=ilPrincipedeiSayan
Robert De Niro sale in macchina, accende il motore e salta in aria nel deflagrante incipit di Casino (1996) di Martin Scorsese: la sagoma del corpo dell’attore vaga esplosa in un tripudio di effetti colorati, quasi dei fuochi d’artificio.
Colonna sonora: La Passione secondo Matteo di Johann Sebastian Bach, scelta non casuale per un ex-seminarista divenuto poi uno dei più grandi registi viventi. Sagoma, dicevo: vediamo unicamente la silhouette come se quello che passa sopra alle immagini fosse un fantasma e non più un corpo.
Ci accompagna in questo discorso sul precipitare nel buio dell’altro un altro incipit fondamentale[i], quello di Sunset Boulevard (1950), con il corpo del protagonista morto, che galleggia in piscina a braccia aperte (De Niro nel fuoco, William Holden in acqua) dopo essere stato ucciso da chi si è sentito tradito. “E per un po' ho creduto di avere un amore così”.
“E' una bassura che il corpo insegue nell’al di là dell’altro.” (Domenico Brancale) [ii]
Mentre Sunset Boulevard (Viale del tramonto) procede con la classica narrazione condotta da una sola voice over, Casino rappresenta una coraggiosa evoluzione: sono due, infatti, gli io narranti che ci guidano verso la rovinosa caduta del protagonista e che s’inseguono in un delirio psicotico, come se la voce che insidiava Robert De Niro in Taxi Driver (1976) si fosse sdoppiata per condurlo verso l’autodistruzione. Nella scena di quest’ultimo film, che termina con la mattanza nel bordello, lo vediamo a terra, ferito, mentre si punta il dito-pistola alla tempia, dopo aver esaurito l’ultimo colpo in canna destinato a sé stesso.
“Il corpo implora il ritorno all’inorganico.” (Carmelo Bene)
Anche nella famosa scena dello specchio l’attore italoamericano punta una pistola verso la propria immagine riflessa, minacciandola al suono ripetuto fino allo sfinimento di: “Stai parlando con me?”[iii]. Lo sviluppo della sceneggiatura ci porta a pensare che si stia preparando per il momento in cui dovrà premere il grilletto verso il candidato alle presidenziali, ma in realtà, come ricorda Slavoj Žižek nelle sue Considerazioni politicamente scorrette sulla violenza metropolitana, siamo di fronte ad una scena dalla forte valenza psicoanalitica, data la presenza dello specchio con il tassista mentalmente disturbato che sta parlando a sé stesso: è il suo il corpo che vuole annientare.
“Occorre un ulteriore passo per muoversi dalla pulsione al desiderio, per dimenticarsi del punto di autodistruzione nichilista affinché questa funga da nuovo inizio” [iv] (Slavoj Žižek)
Se seguiamo l’invocazione di Carmelo Bene, allora il ritorno all’inorganico palesato dalla prima morte all’inizio di Casinò e adombrato dalla scena dello specchio, trova compimento nell’incipit di un altro film di Scorsese, Toro Scatenato (1980), le cui prime immagini ci avvolgono nel nero totale. Un’attesa analoga, molto più lunga e insostenibile, l’avremo vent’anni dopo con l’incipit di Dancer in the Dark di Lars Von Trier[v].
Ed è un ‘danzatore’ quello che sbuca dal buio, un boxeur coperto fino alla testa da un malconcio accappatoio sportivo che saltella e tira pugni al rallentatore confinato nella parte sinistra dello schermo. Colonna sonora: l’Intermezzo della Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni[vi]. L’attacco degli archi è perfetto nel colmare l’attesa dei primi istanti di buio e nel dare potenza all’immagine di un uomo che sferra pugni nel vuoto; sembra un animale in gabbia che lotta contro sé stesso, avvolto da un’aria brumosa che ne sfuma i contorni rendendolo quasi evanescente, come se il tassista interpretato da Robert De Niro avesse attraversato lo specchio a cui puntava la pistola ed avesse varcato una dimensione, catapultandosi sul ring dove si vede solo lui, il boxeur (l’attore è sempre lui), immerso in un bianco e nero che soltanto per un attimo, quando cammina verso le corde del ring, ne staglia nettamente la figura.
Siamo proiettati in una situazione opposta a quella di Casinò, dove avevamo un’ombra che vagava esplosa in un cielo saturo di colore, mentre qui abbiamo un corpo caduto a lasciare una vaga impronta su un palco, in un buio raggelante dove la presenza del pubblico si nota solo dalle luci dei flash dei fotografi che ogni tanto bucano la nebbia visiva della scena.
“Quanto è libera la caduta? Dov’è che l’inseguimento diventerà sfracellamento?” (Jonny Costantino)
www.youtube.com/watch?v=RR_izcpIwz0&ab_channel=GenmeiTenn%C5%8D
Estensione del dominio della lotta
“Fino a che punto saremo capaci d’inseguirla questa bassura? A quale
Metamorfosi ci condurrà la nostra caduta nell’altro?” (Jonny Costantino)
Subire una metamorfosi, lasciare un’impronta dopo la caduta, come il Joker (2019) interpretato da Joaquin Phoenix[vii] mentre fugge dal manicomio per poi scomparire. L’intensa interpretazione dell’attore si pone in stretta relazione con quelle di De Niro che abbiamo menzionato nel solco della lotta con sé stessi.
Nel suo saggio “Un altro sguardo su Joker” il filosofo Slavoj Žižek afferma “Joker resta un essere pulsionale (…) i suoi scatti violenti sono solo impotenti esplosioni di rabbia, esternazioni della sua impotenza di base”. A voler guardare sembra la perfetta descrizione del boxeur di Toro Scatenato. Il Joker di Todd Phillips resta, però, antitetico al Jake La Motta di Scorsese, nel senso che non si lascia ingabbiare dalla violenza, si toglie di dosso l’accappatoio e passa dalla rabbia senza sfogo ad uno scioglimento (seppur psicotico) delle tensioni rigettandole all’esterno.
“Va compiuto un cambiamento di prospettiva aggiuntivo se si vuole effettuare il passaggio dal Joker che scatta di rabbia a quello capace di alzarsi e lottare (…) Quando si diviene consapevoli di tale potere è possibile rinunciare alla brutale violenza corporea”.[viii]
Alzarsi, lottare rinunciando alla violenza corporea; è quello che fa Joker quando sul tetto di un’auto della polizia alza le mani al cielo mentre ride, vedendo la rivolta che ha involontariamente innescato.
“Di fronte ai reportage sconvolgenti e alle immagini delle auto che bruciano nelle periferie metropolitane dobbiamo resistere alla tentazione ermeneutica: la ricerca di un significato più profondo o di un messaggio nascosto dietro a questi disordini. La cosa più difficile da accettare è proprio l’assoluta mancanza di senso.”[ix]
Quest’ultima frase di Slavoj Žižek, sgombera il campo dalle critiche per cui il film inciti alla violenza anche perché Joker rimane estraneo all’insurrezione che si scatena suo malgrado[x]; in realtà il suo scopo persegue un riscatto personale, diversamente da Jake La Motta/De Niro che resta invischiato in una spirale fatta di violenza.[xi]
“Questo è spettacolo!”
https://www.youtube.com/watch?v=W8mpiYTnP8g&ab_channel=Didi2411187
In gabbia.
Nell’incipit di Toro Scatenato De Niro saltella, danza avanti e indietro ma non compie mai il passo decisivo per uscire dai cordoni del ring; re sul ring, nella vita in realtà non farà altro che cadere in balia delle sue ossessioni e gelosie che lo porteranno a rovinarsi e ad arrendersi di fronte all’ineluttabilità della propria tragedia ridotta a farsa, commedia.
Impossibile, allora, non pensare ad un altro film di Scorsese, Re per una notte (The King of Comedy) pellicola che si apre a molti collegamenti. In questo film, come in Joker, abbiamo un comico mediocre (Robert De Niro) che idolatra un personaggio famoso e che, dopo averlo rapito ed essere poi finito in galera, riesce comunque ad avere un’eco di celebrità nel mondo mediatico.
Lo stesso mondo, autoreferenziale (chiuso come il ring di Toro Scatenato) dello sfavillante studio televisivo in cui domina il conduttore impersonato sempre da Robert De Niro e dove il Joker finalmente riesce ad avere i suoi minuti di fama warholiana, anche se oramai non è più il successo che lo interessa.
“Hai visto come è il mondo là fuori? Sei mai realmente uscito da questo studio?” chiede il Joker (come se stesse rimproverando il Jake La Motta che avevamo lasciato sul ring), al conduttore prima di effettuare il parricidio del suo idolo, uccidendolo in diretta, reo di averlo umiliato e tradito mediante un montaggio che ridicolizzava una sua precedente apparizione.
“Questo è spettacolo!” (?) Robert De Niro in The King of Comedy
“Despite all my rage, I’m still a rat in a cage”
L’urlo della canzone degli Smashing Pumpkins del 1996, Bullet wiht butterfly wings è emblematico, già solo nell’accenno al proiettile ma soprattutto alla gabbia. Alla fine tutti i personaggi considerati sperimentano una cocente sconfitta, incapaci di tramontare nel significato che gli attribuiva Friedrich Nietzsche, vale a dire nel cogliere la caduta come un’occasione di rinascita. Siamo nel solco di quei personaggi che in modo perverso sembrano cercare la propria rovina. Sam “Asso” Rothstein si ritroverà da gestore di casinò miliardari ad essere un bookmaker per scommesse di piccolo taglio; Travis Bieckle finirà per negare a se stesso l’unica occasione per instaurare una relazione con una donna e proseguirà nelle sue notti insonni al volante; Jake La Motta dissolverà ogni possibilità di un rapporto con chi gli sta accanto e arriverà a distruggere la cintura con le gemme da campione del ring per far fronte ai debiti; l’unico che sublimerà la sua caduta è il Joker che, resosi conto della gabbia esistenziale in cui si trova, prenderà atto della violenza della realtà che lo circonda e reagirà a questa decadenza inventandosi un ruolo, non nella commedia, ma per la vita. Per far questo indosserà una maschera, parola dall’etimo incerto che rimanda al concetto di spettro, essere demoniaco; nel nostro caso, mascherarsi per poter scomparire.
Fade out
Eccoci dunque ritornare alle prime parole di questo articolo, al fidarsi correndo il rischio di guardare dentro l’abisso dell’altro e di cadere in preda alla disillusione legata al tradimento operato dalla realtà: “Il mondo è un vampiro (…) cosa ho guadagnato dal mio dolore? Desideri traditi” cantano gli Smashing Pumpkins con liriche che adombrano le vicende dei personaggi di cui vi ho parlato. “Ora sono nudo, ma puoi fingere per un solo spettacolo?” Jake La Motta di fronte ad uno specchio, nel camerino prima che lo chiamino per il suo triste show esclama: “Questo è spettacolo!” allargando le braccia di un corpo sfatto come a dire: “Eccomi qua pronto per il mio primo piano” che è poi l’ultima frase di Sunset Boulevard pronunciata da Gloria Swanson che, sprofondata nella follia, scende lo scalone convinta di interpretare una scena madre, dimentica di aver ucciso un uomo per non lasciarlo andare.
Gloria Swanson in balia della sua follia.
Come faremo quando il corpo ci abbandonerà? C’è un limite nell’aldilà? (Jonny Costantino)
Non so se ci sia un limite nell’aldilà, ma come diceva Jean Baudrillard: “Morire non è niente. Bisogna saper scomparire. […] Sparire dipende da una necessità più grande […] Scomparire è passare da uno stato enigmatico che non è né la vita né la morte”.[xii]
Enigmatico, sì: come il Joker.
[Editing Ornella Genua]
[i] David Lynch realizzerà quello che è stato definito come uno dei migliori film degli anni 2000, Mulholland Drive (2001) proprio partendo dall’impianto di Sunset Boulevard (1950).
[ii] Mi servo, in questo senso dell’apporto fondamentale di Jonny Costantino nel capitolo dedicato a Domenico Brancale nel suo La mano bruciata. Scrittori, pittori, elezioni - Rubbettino Editore, 2021.
[iii] Martin Scorsese ha rivelato che la frase non era inserita in sceneggiatura e fa parte di quelli che lui chiama incidenti Imprevisti.
[iv] Slavoj Žižek, Considerazioni politicamente scorrette sulla violenza metropolitana - Forum Edizioni, 2007.
[v] Palma d’oro per il miglior film e per la migliore attrice a Bjork al Festival del Cinema di Cannes nel 2000.
[vi] È singolare pensare al fatto che nella trama dell’opera Turiddu morda all’orecchio lo sfidante a duello; forse Mike Tyson ascolta l’opera lirica?
[vii] Leone d’Oro alla 76ª Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia.
[viii] Slavoj Žižek, Un altro sguardo su Joker. Dal nichilismo apolitico alla new Left in Slavoj Žižek. Una lettura perversa del film d’autore da Psycho a Joker - Edizioni Mimesis/Cinema, 2021.
[ix] Vedi nota 4.
[x] Interessante in questo senso ricordare le parole di Anthony Burgess riferendosi all’Alex di A clockwork orange, secondo il quali il protagonista del libro si imbarca lucidamente nel percorso di violenza.
[xi] Vedasi il patetico monologo in cui Jake La Motta a fine carriera e ingrassato a dismisura, cita William Shakespeare e l’attore Lawrence Olivier invitandolo a sfidarsi con i pugni invece che con la recitazione.
[xii] Jean Baudrillard, Cool memories. Diari. 1980-1990 - SugarCo, 1991