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THE BOOKSTORECARTA CANTA
Attitudine Riottosa. Anarcopunk in UK
Giulio D’Errico
2020  (Agenzia X)
CARTA CANTA
all THE BOOKSTORE
05/10/2020
Giulio D’Errico
Attitudine Riottosa. Anarcopunk in UK
Curiosità, passione, determinazione e taglia-incolla. Questa la ricetta per una buona fanzine, ma a quanto pare anche per un buon libro, perché “Attitudine Riottosa. Anarcopunk in UK” lo è decisamente. Tanto che arrivati alla fine si ha due scelte: ricominciarlo o mettersi alla ricerca di altre fonti sul tema. Io ho optato per entrambe.

«Questo volume non è una fanzine, ma è debitore di quell’attitudine. Una collezione di voci, talvolta dissonanti, di persone che hanno vissuto in prima persona la scena anarcopunk britannica dei primi anni ottanta. Voci che fanno trasparire l’energia, la determinazione, le contraddizioni di quel movimento che, pur con grossi limiti, ha influenzato la politica dal basso ben oltre i propri confini, il cui riverbero è chiaramente visibile ancora oggi».

 

Giulio D’Errico, autore e curatore del testo, sceglie queste parole per sintetizzare il senso e il contenuto di questo volume e, dopo averlo letto e riletto, bisogna ammettere che la sintesi non potrebbe essere migliore.

Quello che ci si trova tra le mani è una raccolta di saggi, composta con lo spirito delle fanzine punk, mentre quello che ci si ritrova a vivere, una volta iniziata la lettura, è un viaggio. Un viaggio negli anni Ottanta del Regno Unito, tra Londra, Belfast e Bristol, i centri industriali del nord dell’Inghilterra e la brughiera del sud, denso di politica, musica, droghe, alcol, manifestazioni, concerti, squat e lotta militante, sociologia di un’epoca e raccolta di esperienze personali. Un viaggio di quelli fatti con compagni bizzarri, che iniziano a parlare con te senza che tu ne sappia bene il motivo, ma che dopo il primo aneddoto vorresti come amici e non li lasceresti più andare.

Dodici capitoli, dodici racconti, dodici esperienze personali, dodici approcci, dodici punti di vista.

Se pensate che l’anarcopunk sia stato solo un movimento fatto da un branco di ragazzini drogati con qualche balzana idea in testa, vogliosi solo di una vaga e violenta rivoluzione, avete l’occasione di rimettere i pensieri nella giusta prospettiva e tarare meglio il bersaglio, perché ciò che si è nascosto per almeno un decennio nella periferia di Londra e nei sobborghi di moltissime delle città inglesi non è stato affatto solo questo.

Musicisti, scrittori, organizzatori, appassionati, artisti, occupanti di case e spazi sociali, attivisti di gruppi antimilitaristi e femministi, vegani, animalisti e sindacalisti. Questi alcuni dei profili dei ragazzi che hanno popolato la scena anarcopunk inglese negli anni Ottanta. Giovani, studenti e lavoratori, interessati e toccati dalla politica tanto da ribellarsi contro ciò che ritenevano ingiusto e da proporre un’alternativa, quasi sempre non violenta, ad un ordine costituito che non proteggeva più gli interessi né loro né degli operai, dei disoccupati, delle minoranze e degli emarginati.

Giulio D’Errico, storico e ricercatore indipendente, dopo aver vissuto e studiato in Galles per diversi anni, ricostruisce un sintetico e chiaro quadro storico, sociale e politico di un’epoca – fatta di tatcherismo imperante, sconfitta dei movimenti sociali sessantottini e nascita di regimi violentemente neoliberali e repressivi, sotto un cielo che preannunciava la possibilità di una conclusione atomica da lì a pochi anni – attraverso la lente del punk. Non il punk dei Sex Pistols e dei finti ribelli da copertina, ma il punk dei Crass e di tutta quella scena che ha fornito ai giovani «una nuova educazione sentimentale alla politica», che ha letto senza orpelli le inquietudini dei giovani britannici e le ha veicolate verso scelte di impegno individuale radicali.

Il rifiuto di una politica così come era definita dalla classe politica stessa, la scelta di un messaggio pacifista e di liberazione individuale, spesso femminista e legato ai temi del veganesimo, la volontà di rimboccarsi le maniche e creare degli spazi condivisi e di espressione (i primi spazi sociali di Londra), oltre che di lottare concretamente contro ciò che non funzionava (gli scontri contro la Poll Tax, le incredibili manifestazioni di Stop The City), anche se ciò voleva dire rischiare di venire picchiati selvaggiamente dai naziskin ai concerti o dalla polizia alle manifestazioni, di essere messi in cella perché si era protestato in piazza per una giusta causa, o di essere cacciati di casa dai genitori, per chi aveva famiglie più conservatrici.

Questo perché considerarsi anarchici non voleva dire disinteressarsi di politica, anzi. Il rifiuto era verso l’apparato istituzionale, gli organi dirigenti e le casacche di mille colori, verso chi aveva svuotato la politica del suo vero significato di amministrazione della cosa pubblica e della società, nell’interesse di chi in quella società ci vive e del bene comune. La controcultura anarcopunk lottava per quella reale accezione sottesa al termine “politica”, e lo faceva tra concerti, musica, testi, fanzine e spazi occupati, basandosi su una cultura do it yourself, aggregando persone e idee e dando loro una casa, spesso metaforica, talvolta anche reale.

Certo, non sono mancate le storie di droga, le giovani morti e i delusi. C’è chi è rimasto punk o anarcopunk per qualche anno, chi lo è ancora dopo una vita intera. Chi si è avvicinato per la musica e ha guadagnato una consapevolezza sociale e politica che lo avrebbero accompagnato per sempre, o chi seguiva il messaggio e andava ai concerti solo perché facevano parte del pacchetto.

Quello che è certo è che chi a quei folli anni è sopravvissuto li porta ancora nel cuore, e chi si è avvicinato, presto o tardi, a quel mondo, ne è stato segnato irrimediabilmente. Sono quel genere di incontri da cui non si esce indifferenti e in cui si capisce che tipo di persone si è o si vuole diventare.

Ogni movimento è figlio dei suoi contesti, della sua epoca e del suo ambiente, è inevitabile. Attitudine Riottosa. Anarcopunk in UK lo sottolinea chiaramente, ma evidenzia anche come ogni movimento, se sufficientemente denso di contenuto e di giusti valori, non può mai morire. Può restare celato dalle storie ufficiali, può rimanere solo nel cuore di chi l’ha vissuto o di chi sceglie di portarlo avanti a suo modo, ma può anche essere di ispirazione, facendo nascere, in altre epoche e in altri contesti, le stesse esperienze e la stessa lotta per ottenere nuove possibilità ed orizzonti. Altri movimenti, infatti, sono nati in Russia, in Sud e Centro America, in Asia, Africa e Polonia, sulla scia dei movimenti anarcopunk inglesi. Spesso non sono raccontati o sono poco mappati, ma sono esistiti ed esistono tuttora.

Come possiamo saperlo? Beh, fortunatamente, alcuni testimoni ed eredi di quel movimento anarcopunk ci sono ancora, hanno creato fanzine, case editrici o sono professori o ricercatori in università. Alcuni di questi hanno anche creato la Punk Scholars Network (PSN), «un’organizzazione che attraverso conferenze, simposi, pubblicazioni, presentazioni ed esibizioni, fornisce una struttura accademica allo studio del punk», che è cresciuta tanto da avere affiliati in America, Australia, Asia, Indonesia e non solo, avendo così modo di raccogliere anche altre storie e punti di vista legati al punk.

Se siete curiosi fatevi una ricerca online, ma sappiate che tutto ciò che troverete è in lingua inglese. Se volete iniziare con qualcosa in italiano, però, iniziate da questo libro, perché Giulio, l’Agenzia X e il Centro studi sulle controculture di Moicana sono gli unici che l’hanno fatto, e con risultati eccellenti.

Fatevi affascinare dai capitoli di Attitudine Riottosa. Anarcopunk in UK e dal mondo che vi svela e poi sappiatemi dire se anche voi, arrivati alla fine, non siete riusciti a riporlo in libreria e avete finito per tenerlo a portata di mano sul comodino. In tempi oscuri come questi è un toccasana per gli animi ribelli, vi ricorda chi siete, perché lo fate e che non siete i soli.


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