Primo perché si chiamano come un Moog che faceva parte della mia strumentazione. Un bel sintetizzatore analogico con la cassa in legno, piccolino ma bastardo nella cattiveria con cui strizzava i suoni con i suoi filtri. Poi perché i Prodigy hanno campionato Max Romeo di “Chase the devil” e lo hanno spalmato come la Nutella in “Out of space” e quando ascoltavo Max Romeo in ufficio i colleghi giovani mi venivano a chiedere informazioni. “Ma chi ha fatto questa versione reggae dei Prodigy?”, obiettavano. Poveri ingenui.
Ho visto i Prodigy dal vivo a Milano nel novantasette, avevano i Marlene Kuntz come supporter e, obiettivamente, hanno fatto entrambi la loro sporca figura. I Prodigy in concerto hanno lo stesso limite di tutti i gruppi elettronici, e cioè non capisci se suonano o se è tutto registrato. Ho trovato però su Youtube alcuni filmati da tournée recenti e ho scoperto con piacere che mettere una batteria acustica sotto “Firestarter”, che in italiano ho sempre tradotto con “Attaccabrighe”, ha un suo perché.
E ho sempre pensato che Keith Flint, il folle urlatore e front-man con quelle pettinature assurde, una specie di Johnny Rotten in versione pasticche e roba chimica, nella vita di tutti i giorni fosse proprio così. Un attaccabrighe pronto a importunare il prossimo solo per passare il tempo.