Per come si è evoluto il pensiero cosiddetto Woke negli ultimissimi anni, dubito che la band di Matthew Flegel, si formasse oggi, avrebbe ancora questi problemi. Nel mondo anglosassone del 2015-16 (ere geologiche fa, quindi) non riusciva più a trovare un ingaggio perché il nome Vietcong evocava fantasmi di lunga data che, in un ideale immaginario politically correct dell’America obamiana (questa vicenda inizia ben prima di Trump) non poteva essere evocato. Citare espressamente il nome dei peggiori nemici degli Stati Uniti? Non si poteva fare, anche se quella storia forse non se la ricordava più nessuno e anche se la band in questione proveniva da un paese, il Canada, che quella guerra ferocemente criticò e che ebbe buon gioco ad accogliere come rifugiato qualunque statunitense avesse deciso di non rispondere alla chiamata alle armi.
Importava poco che Flegel e compagni dichiarassero di aver preso il nome guardando vecchi film, di non conoscerne le implicazioni politiche, che si trattava di una decisione poco meditata, e altre giustificazioni di questo tipo. Fu fatto loro capire che se non lo avessero cambiato, la loro storia avrebbe potuto concludersi qui.
E fu così che cominciammo a parlare di Preoccupations, un nome molto meno efficace ma privo di implicazioni politiche, e di conseguenza sicuro. Dubito che dipenda da questo, ma la musica più interessante i quattro di Calgary l’hanno prodotta sotto l’identità precedente.
Arrangements è il terzo lavoro come Preoccupations, arriva quattro anni dopo New Material e ci presenta un gruppo che, pur mantenendo quasi del tutto immutate le proprie coordinate stilistiche e pur mostrando ancora a sprazzi di saper scrivere belle canzoni, sembra avere un po’ il freno a mano tirato, come se non ci fosse più quella scintilla che aveva reso spiazzanti e dirompenti i primi due dischi (considero Cassette un vero e proprio album, anche se tecnicamente non lo sarebbe).
È un peccato perché le premesse per un grande ritorno ci sarebbero tutte. Matthew Flegel (che ha prodotto questi sette pezzi assieme ai suoi compagni Scott Munro e Michael Wallace) ha dichiarato che Arrangements è “un disco che parla di come il mondo stia esplodendo e di come a nessuno freghi un cazzo” e i testi delle canzoni sono disseminati di messaggi apocalittici fulminei e di grande efficacia, come quel “Everything tastes like the bitter end” che apre “Ricochet”.
L’inizio in verità è fulminante: “Fix Bayonets!” è una cavalcata Post Punk di grande efficacia, riff di chitarra gelidi e batteria incalzante come ci hanno da sempre abituato. Meno terremotante del solito (può darsi che dal vivo sarà un’altra cosa) ma pur sempre un gran pezzo. La successiva “Ricochet” è invece spiazzante per la sua inedita componente melodica (forse il primo ritornello cantabile e ben delineato che questa band abbia mai scritto), nonostante l’attacco di basso e chitarra in pieno stile New Wave mantenga intatto il marchio di fabbrica del quartetto.
Il resto è un po’ una via di mezzo, un disco dove l’angoscia si taglia col coltello, ben esemplificata da una “Death Of Melody” dove i Synth di Scott Munro imbastiscono una sorta di marcia funebre, ma nel complesso meno pesante rispetto ai lavori iniziali, senza dubbio in continuità con New Material e oserei dire anche più ispirato.
C’è poi una divisione piuttosto netta tra una prima parte più immediata e concisa e una seconda più dispersiva, composta da un trittico di brani dove l’elemento Drone e Ambient si fanno più presenti, e dove il contatto con il periodo Vietcong appare più evidente, fatta sempre salva una maggiore leggerezza sonora. “Advisor” e “Tearing Up the Grass” sono episodi di grande eleganza, soprattutto la seconda, che ha tutte le caratteristiche che hanno fatto grandi i pezzi conclusivi dei primi tre dischi, tra sviluppo articolato, Up tempo centrale e crescendo ossessivo e pulsante, culminante nell’esplosione del finale. Il tutto con quella reiterazione delle ritmiche che è ormai divenuta una delle loro migliori caratteristiche, in comune del resto con gran parte della nuova scena Post Punk.
Non il loro migliore, ma Arrangements rappresenta comunque un gradito ritorno per i Preoccupations. Speriamo solo che si decidano a ripassare presto dalle nostre parti, perché dal vivo, come sa bene chiunque li abbia visti, sono davvero pazzeschi.