C'è un momento, più o meno a metà del concerto, che offre la cifra di quello che è oggi Ariete e del perché le sue canzoni stiano avendo così tanto riscontro. Subito prima dell'esecuzione in solitaria, chitarra e voce, di "Venerdì", fa salire una manciata di fan sul palco (li sceglie al momento, non per forza dalle prime file) e, dopo aver cantato il pezzo, chiede loro di condividere con lei e col resto del pubblico qualcosa di importante, relativo alla propria vita.
Tra una cosa e l'altra va via quasi mezz'ora e sarebbe facile storcere il naso di fronte ad un qualcosa che distoglie totalmente dalla musica e che potrebbe apparire come un eccentrico escamotage per riempire il vuoto di un repertorio troppo breve.
Eppure, nonostante l'evidente bizzarria di un'iniziativa che sta a metà tra un rituale religioso di una qualche chiesa americana e una puntata di "C'è posta per te", è innegabile che le ragazze scelte raccontino esperienze serie, a tratti anche molto toccanti, e che per quanto riduttivo possa essere, guardino davvero alla loro beniamina come ad un punto di riferimento e ad una fonte di ispirazione. E tutto questo è perfettamente in linea con quello che è il rapporto di Arianna Del Giaccio con la sua fanbase.
Ha iniziato a scrivere canzoni prestissimo (lei dice a quattro anni) e nel carattere di confessione intima che i suoi brani hanno sempre avuto, gli ascoltatori hanno sempre ritrovato qualcosa di loro stessi. L’episodio in questione può apparire sentimentale e fuori posto, ed è assolutamente legittimo che la si veda così, soprattutto se, come il sottoscritto, si fa parte degli addetti ai lavori e si appartiene oltretutto ad una generazione precedente. Per tutti coloro che hanno fortissimamente voluto essere lì, al contrario, che alcuni di loro siano chiamati accanto a lei e abbiano la possibilità di aprirsi, rappresenta la prova che Arianna è, semplicemente, una di loro. Una di loro che ce l’ha fatta, certo, che ha la possibilità di cantare le sue cose davanti a migliaia di persone, ma proprio per questo può farsi in qualche modo portavoce (per quanto questo termine sia scomodo e fuorviante), compagna di cammino dei suoi coetanei, sempre più confusi in un’epoca che non è per niente facile decifrare.
In poche parole, è l’artista del momento, sta attraversando un’esplosione commerciale e mediatica innegabile ma è sincera e spontanea nel suo modo di porsi, non si avverte davvero nulla di costruito nello spettacolo che ha messo in piedi per questo tour.
Quella del Carroponte, prima data in assoluto del tour di Specchio, è il recupero di quella originariamente prevista a marzo: è arrivata l’estate, la richiesta di biglietti è alta, il cambio location arriva a proposito. La venue di Sesto San Giovanni ha ospitato tantissimi concerti delle mie estati passate, ci sono stati anni in cui ero praticamente lì ogni sera. Il cambio gestione ha portato anche ad un radicale mutamento nella programmazione così che, complice anche la pandemia, mi accade di metterci piede per la prima volta dopo non so più quanto tempo. Ritrovo quell’area accogliente e suggestiva di sempre e, questo è un vero dato confortante, col palco principale decisamente migliorato per quanto riguarda la resa acustica.
Non c’è tantissima gente: o meglio, l’affluenza è interessante ma ci sono state occasioni in cui l’ho visto molto più pieno. Ariete è nel suo momento commercialmente più fortunato, il mancato sold out è senza dubbio indizio di una difficoltà del settore dovuta anche ad una vera e propria bulimia di offerta. Il succo è: non fidiamoci troppo di chi ci sta dicendo a gran voce che è tutto ripartito perché non è così, c’è una crisi di lungo periodo che la pandemia ha solo peggiorato e gli effetti peggiori, spero di sbagliarmi, non li abbiamo davvero ancora visti.
Il pubblico, giovanissimo e a forte prevalenza femminile, se ne frega, comprensibilmente, di tutto questo. Accolgono la loro beniamina con un boato rumoroso e sin dall’iniziale “Specchio”, eseguita in solitaria, l’effetto singalong è notevole. Quando entra la band (Alessandro Cosentino alla chitarra, Emanuele Fragolini alla batteria, Jacopo Antonini al basso e alle tastiere), che si posiziona nella parte alta del palco, e parte “Giornate noiose”, il concerto inizia davvero e, tra reggiseni e striscioni lanciati sul palco e pubblico che canta a memoria ogni singola parola, l’atmosfera è decisamente incandescente. C’è un affetto autentico che lega Ariete ai suoi fan e nell’arco dell’ora e mezza che dura il tutto, lo si avverte in ogni singolo momento. Non è roba mia, ovviamente, ma va dato merito a questa ragazza di saper scrivere canzoni ispirate, melodicamente ineccepibili, decisamente al di sopra degli standard a cui l’It Pop degli ultimi anni ci aveva abituato. Detto in sintesi: si merita il successo che sta avendo e le ragioni di questo sono assolutamente comprensibili.
In sede live, purtroppo, ci sono parecchie cose da sistemare. È un problema tutto italiano, credo: artisti che esplodono a partire dal lavoro fatto in studio vengono buttati sul palco per monetizzare e affrontano tour senza aver avuto modo di testarsi a sufficienza in questa dimensione. Chi parte dal basso e fa gavetta nei locali ha normalmente molte più frecce al proprio arco (e all’estero funziona spesso così, motivo per cui tante giovani band dal vivo funzionano già più che discretamente), da noi è più difficile e il concerto di questa sera ne è una triste conferma.
Per carità, niente da dire sulla bontà del tentativo: c’è una band e, a parte l’uso di basi e sequenze in più punti, tutto il resto è suonato. Quel che non convince, a parte una riproposizione dei brani in maniera fin troppo fedele a quella del disco, con una serie di esecuzioni precise ma senza troppo mordente, è in sé la prova di Arianna: sul palco appare sicura ma si muove goffamente (anche se questo potrebbe essere dovuto ad un infortunio avuto sulla neve, lo ha detto lei stessa durante il concerto, anticipando che dopo l’estate dovrà operarsi), non ha problemi a conquistare il pubblico perché il pubblico sarebbe dalla sua qualunque cosa accadesse, ma la sensazione è che le manchi quel carisma necessario per far fronte ad ogni situazione.
Stesso discorso per la voce: in studio funziona benissimo e anzi, ho sempre trovato il suo timbro particolarmente interessante e indovinato; dal vivo purtroppo le manca il controllo (parecchie le sbavature) e l’utilizzo costante di tonalità medio basse non aiuta l’impatto complessivo del concerto. Anche la prevalenza di ballate o simili nel proprio repertorio non gioca a suo favore: il live è partecipato ma la sensazione è che non decolli veramente mai, che tutto, nonostante l’impegno dei musicisti, del gioco di luci e dei visual molto curati, appaia un esercizio scolastico ben eseguito ma poco emozionante.
Magari sono aspetti che danno fastidio solamente a me, ma spero comunque che in futuro certi difetti possano essere corretti dal lavoro e dall’esperienza.
La scaletta è telefonata, con l’esecuzione integrale di Specchio e una carrellata consistente dai due precedenti EP del 2020, Spazio e 18 anni. Lo abbiamo già detto, Ariete ha messo insieme in poco tempo un repertorio di sicuro valore, da questo punto di vista non ci si annoia: le varie “Mille Guerre”, “Amianto”, “Pillole”, “Club”, “Avviso”, la hit “L’ultima notte”, scritta per la serie Tv Netflix Summertime, contribuiscono alla resa sicura dello show. Una porzione corposa della setlist è poi affidata ad esecuzioni in solitaria, non sempre precise ma comunque di effetto: colpiscono in questo senso “Quel bar”, il suo primissimo singolo pubblicato e “Spifferi”, di cui è stata proposta una buona versione piano e voce.
Apprezzabile anche il fatto che gli episodi del disco comprensivi di featuring, vale a dire “Fragili” e “Cicatrici”, siano stati eseguiti senza l’ausilio di basi, ma che le parti rispettivamente di Franco126 e Madame siano state coperte dalla stessa Ariete o dai cori del pubblico; soluzione non ottimale dal punto di vista qualitativo ma che se non altro ha rispettato la genuinità dell’insieme.
Un featuring c’è stato davvero solo nei bis, quando sul palco si è presentato Rkomi, per eseguire con Arianna una “Diecimilavoci” in acustico che a dire il vero non è riuscita proprio benissimo. Pochi minuti prima il set regolare era terminato con “Iride”, con tanto di anacronistico e paradossale assolo di chitarra durante il quale erano stati presentati i musicisti e operati i ringraziamenti di rito.
Le ultime due canzoni dopo il rientro in scena sono, quelle che, tra le più importanti, mancavano all’appello: “Castelli di lenzuola” e, ovviamente, “18 anni”, che è anche una delle poche up tempo, occasione privilegiata offerta al pubblico per saltare e scatenarsi per l’ultima volta.
Concerto piacevole, nonostante tutto. Ci sono del resto tante date da fare, siamo sicuri che alla fine del tour tante cose saranno già migliorate. Per il resto, questa è l’estate di Ariete ed è giusto che se la goda.