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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
24/06/2024
Live Report
Arab Strap, 22/06/2024, Triennale, Milano
Gran bel concerto quello degli Arab Strap alla Triennale di Milano, per un gruppo che, nonostante gli anni che ha sulle spalle, dimostra una volta di più che il tempo che passa non è un obiezione ad un progetto musicale: si può essere longevi ed essere credibili, a patto di avere cose interessanti da dire e di sapere esattamente dove si voglia andare.

Gli Arab Strap hanno col nostro paese un rapporto intenso e capita, per nostra fortuna, di vederli piuttosto spesso. Dopo averci onorato lo scorso settembre con una tappa del breve tour per l’anniversario di Philophobia (ne avevamo parlato qui) a questo giro le date sono ben tre. Noi assistiamo all’ultima, quella di Milano, nei sempre affascinanti giardini della Triennale, location ideale per la stagione estiva.

Il meteo, quando giungo sul posto, preoccupa un po’, le previsioni non sono molto confortanti ma per fortuna la pioggia non cadrà e potremo goderci il concerto in santa pace, anche se ovviamente il clima autunnale di questi ultimi mesi non ci è stato risparmiato.

Il duo scozzese non è preceduto da alcun opening act e sale sul palco alle 21.45, con il pesante riff di basso di “Allatonceness” a dare il via alle danze. Contrariamente al tour dello scorso anno dove si erano esibiti in acustico, questa volta c’è la band al completo, assetto ideale per le nuove canzoni che stanno portando in giro.

 

Dopo la reunion, Moffat e Middleton hanno per certi versi cambiato formula, rivestendo i brani di uno strato musicale più spesso e talvolta robusto, accentuando la componente cantata a discapito dello spoken word, e divenendo da un lato più accessibili ma perdendo, dall’altro, quella vena di dimessa malinconia e di crudo cinismo che li caratterizzava agli esordi.

I’m totally fine with it I Don’t Give a Fuck Anymore (qui la nostra recensione) è probabilmente il lavoro più “heavy” (si tengano ben presenti le virgolette) che i due abbiano mai realizzato e, pur non rinunciando allo spietato realismo dei testi (anche se si parla meno di sesso e più di tematiche sociali) le influenze musicali si sono allargate a dimostrare una generale volontà di evoluzione. Il loro non è stato dunque un ritorno utilitaristico e forzato come spesso se ne sono visti: non sarebbe esagerato dire che gli ultimi due album siano tra i migliori della loro discografia.

La riprova è che la setlist di questo tour è fortemente impostata sul presente. Il nuovo disco viene suonato quasi per intero (mancano all’appello solo “Molehills” e “Safe & Well”), dal precedente As Days Get Dark arrivano tre brani, mentre ai classici della prima ora è dedicato appena un piccolo spazio, che comunque non risulterà privo di soddisfazioni.

 

Il gruppo è in palla, valorizzato in pieno dal contesto (al Primavera Sound di venti giorni fa li avevo visti davanti ad un pubblico ben più numeroso, ma sotto il sole battente e con una resa acustica ben lontana dalla perfezione) suona potente e preciso, e ha probabilmente la sua arma migliore nell’interazione tra batteria e beat, che fa sì che si balli parecchio, particolare non proprio usuale nei loro concerti: da questo punto di vista, due episodi come “Bliss” e “The Shy Retirer” risulteranno tra le migliori della serata.

Malcolm Middleton fa il solito gran lavoro alla chitarra, anche se in più punti viene coperto dalle tastiere, possibile scotto da pagare di questo approccio più muscolare scelto dal gruppo. Resta comunque che gli arrangiamenti più ricchi e in alcuni momenti sontuosi, valorizzino brani come la vecchia “New Birds” (splendida soprattutto la coda strumentale dal sapore Post Rock, con Aidan Moffat che, scendendo dal palco per andare a prendersi qualche minuto di pausa, è inciampato e ha rischiato seriamente di ammazzarsi) o la meravigliosa ed inquietante “Compersion, Pt. 1”, per non parlare poi di nuovi brani come “Sociometer Blues”, “Hide Your Fires” e “Strawberry Moon”, tutti caratterizzati dal mix tra atmosfere inquietanti e crepuscolari e hook irresistibili.

Aidan Moffat, da parte sua, è il solito mattatore inconsapevole: serioso e compassato nelle movenze, si capisce lontanamente che si sta divertendo un mondo, incarnando alla perfezione quella parte del cinico bonario che recita nei suoi testi. Vocalmente è in forma, anche se nelle battute iniziali temiamo il peggio quando è costretto a fermarsi a metà di “The Turning of our Bones”. È colpa del ghiaccio secco che viene sparato in continuazione sul palco e che gli ha irritato la gola: il brano verrà ripreso daccapo, il ghiaccio eliminato e tutto procederà senza intoppi fino al termine.

 

I bis, dopo la chiusura del set regolare con una emozionante “You’re Not There”, ci regalano una splendida versione di “Pijamas”, probabilmente il ripescaggio più inatteso di questa sera (l’altra era stata “Infrared”), scarna e dimessa come alla vecchia maniera, con Aidan che scherza sul fatto che sia “una canzone che parla di sesso” (in precedenza anche altri titoli, ovviamente, erano stati introdotti così) ma poi precisa: “in realtà parla del non fare sesso”. Il brano sfocia immediatamente in “Girls of Summer”, malinconica e rumorista allo stesso tempo, con un finale ad alta intensità dove si mescolano chitarre sparare a mille e beat energici.

Gran bel concerto, un gruppo che nonostante gli anni che ha sulle spalle non assomiglia affatto ad un relitto del passato. Moffat e Middleton hanno dimostrato una volta di più che il tempo che passa non è un obiezione ad un progetto musicale: si può essere longevi ed essere credibili, a patto di avere cose interessanti da dire e di sapere esattamente dove si voglia andare. Non vediamo già l’ora del prossimo disco.