La sua carriera inizia come membro dei The Internet per poi prendere la strada della produzione: J Cole, Solange, Vampire Weekend, Mac Miller. Tanti i nomi dei fortunati, primo fra tutti, quello di Kendrick Lamar di cui ha curato il singolo PRIDE dal disco premiato ai Grammy, “DAMN.”.
Non stupiamoci, allora, se il sound di questi artisti verte su sfere condivise: Steve Lacy, indiscretamente, lascia il segno.
Ma essere al posto giusto al momento giusto, per quanto indispensabile, non sfama la voracità di un attento ascoltatore. Per il suo compleanno, il giovane musicista decide di festeggiare con un album solista in cui emergono in modo chiaro le sue influenze.
Apollo XXI unisce elementi molto eterogenei nel solco della black music: ecco che il passaggio da un pezzo all’altro è talvolta brusco, talvolta anche nell’arco di una stessa canzone, in cui si susseguono velocemente generi e suggestioni diverse: Like Me unisce rap, addolcito da un featuring à la Beyonce, un intramezzo psichedelico di grande effetto e un finale dal sapore elettronico e, ancora, soul. Che il ragazzo abbia ascoltato tanta musica e sappia destreggiarsi facilmente tra generi diversi ce lo confermano, oltre alla sua carriera di produzione, pezzi come Guide, un chiaro omaggio al grande Prince.
Non poteva poi mancare una strizzatina d’occhio all’amico Mac Demarco, come in Love 2 Fast e, più in generale, nel diffuso sound psichedelico che si sposa perfettamente con la sua natura di chitarrista: è il caso di Lay Me Down in cui vince ancora una volta il falsetto. E chi, in tempi più recenti ne ha fatto un tratto distintivo? Thundercat, ovvero, l’influenza principale di “Apollo XXI”: questa vive non solo nella voce, ma anche nella vena elettronica da musica da videogioco.
Per Lacy, infatti, la musica è un gioco in cui tutto può essere creato e deformato a piacere. Ma la vivacissima Playground ci dice che la lezione di Thundercat non si abbina ai testi, dal piglio più classico e lontani da tentativi satireschi.
Fondamentale è, infine, l’esperienza rap: Basement Jack e l’ultima Outro Freestyler/4ever ne sono l’esempio più chiaro ma, al contempo, l’evidenza che Lacy non è un rapper come gli altri. Ancora una volta, la parte psichedelica prende il sopravvento. Gospel, elettronica e il nero soul vengono qui assimilati ad un unico, vivido immaginario: plastico, vintage e fresco.
Per quanto il disco non abbia un iter ben definito, Lacy non resta in superficie. Anzi, si tratta di uno sforzo notevole nell’affrancarsi da importanti quanto opprimenti collaborazioni alla ricerca della propria personalità musicale. Se ci sia riuscito o meno, è ancora presto per dirlo. Al momento, questo melting-pot lascia una piacevole sensazione: in fondo, dodici pezzi sono stati tre quarti d’ora di buona musica. Grazie Steve.