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REVIEWSLE RECENSIONI
27/03/2025
Puma Blue
Antichamber
Puma Blue pubblica il suo terzo lavoro, Antichamber, 13 tracce che trasportano in uno spazio sospeso dalle connotazioni minimal e ambient. Un flusso di coscienza intimo e solitario, che ci porta a tu per tu con i nostri demoni.

Il 23 novembre 2019 pioveva a dirotto e io e una mia amica decidemmo di andare in un piccolo club di Milano a sentire Alice Phoebe Lou, un’artista sudafricana a lei molto cara e per la quale non stava più nella pelle. Il club, l’allora Circolo Ohibò, esplodeva di gente per la serata andata sold out. Ad un certo punto dell’esibizione, Alice introdusse il brano successivo: una cover di Puma Blue, “Want Me”, definendola: “a sad love song”. In effetti Phoebe Lou ci aveva preso in pieno, era una ballata romantica, malinconica, e la sua voce angelica, accompagnata da un sensuale sassofono, mi risuonava dentro al punto da farmi sentire triste e felice allo stesso tempo. Era la prima volta che ascoltavo una canzone di Puma Blue dal vivo e forse è proprio quella sera, nonostante fosse una cover, che fui travolto dalla sua poetica, dalla sua capacità di raccontare temi come l’amore, la perdita e la rinascita in un modo quasi generazionale.

Dopo quel concerto passai le settimane seguenti a consumare i due EP che Puma Blue (alias Jacob Allen) aveva all’attivo: Swum Baby (2017) e Blood Loss (2018). Prendete la morbidezza e la tristezza di Elliott Smith, il calore nostalgico della voce e della chitarra di Jeff Buckley, aggiungeteci un pizzico di beat jazz di Chet Baker e il groove neo-soul di D’Angelo, ed ecco che ne rimasi ipnotizzato.

 

Originario del quartiere di Hackney, a nord est di Londra, Jacob Allen spicca sin dagli esordi per la sua voce dolce e struggente, connotata da uno stile lo-fi, a tratti dark e romantico, che si ritrova soprattutto nei suoi primi lavori e che gli è valso un meritatissimo successo. Nel 2021, lo stesso anno in cui si trasferisce ad Atlanta per stare con la sua compagna, esordisce con l’elegante In Praise of Shadows, il suo primo vero disco, il cui titolo si rifà all’omonimo libro di Jun'ichiro Tanizak, un lavoro sensibile che parla di salute mantale e mascolinità tossica e spazia tra l’ambient, il bedroom r&b ed elementi di trip hop e new jazz.

Tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024, Allen è stato impegnato nel tour di Holy Waters, il suo secondo lavoro, che lo ha portato in giro per il mondo (per la prima volta con tre date in Italia); registrato con la sua band dal vivo nel corso di due visite agli Echo Zoo Studios di Eastbourne, ispirato ancora una volta dal suo idolo Jeff Buckley e da Björk. Holy Waters segna anche un netto distacco dalle produzioni solitarie in camera da letto dei primi EP e conferma la maturità delle sue scelte stilistiche, il costante abbraccio all’oscurità con la sensibile consapevolezza che non c’è buio senza luce, la capacità di esprimere la propria vulnerabilità attirando gli ascoltatori nel suo mondo chiaroscuro.

 

Essendo ormai diventato un fan, quando nel 2024 Puma Blue ha fatto finalmente il suo esordio italiano a Torino, a diversi anni di distanza dalle date europee, non potevo mancare. Anche nella dimensione live Jacob Allen ha travolto il pubblico, ricreando le atmosfere dense e al contempo rarefatte che contraddistinguono i lavori in studio. Una missione non semplice, quella di riprodurre un sound intimo e fragile nato nella sua camera da letto, ma ben riuscita, grazie anche alla raffinata band che lo accompagna, composta dai suoi amici di sempre: Harvey Grant al sassofono e alle tastiere, Cameron Dawson al basso, Ellis Dupuy alla batteria e Luke Bower alla chitarra.

 

Si arriva quindi al febbraio 2025 e, sotto l’etichetta Blue Flowers Music, Puma Blue pubblica Antichamber, un lavoro della durata di 35 minuti composto da 13 tracce, di cui 4 ambient e una cover dei re dello slowcore post punk del Minnesota, i Low. Scritto durante lo scorso inverno, l’album prende vita da un periodo di isolamento trascorso nella campagna di Decatur, Georgia, tra lunghe passeggiate e giri in bici, lontano dal caos delle grandi città, come ha raccontato l’artista in recenti interviste.

Il titolo, Antichamber, come le tredici tracce, rende l’idea di uno spazio sospeso, un luogo in cui il tempo sembra fermarsi: la prima traccia ambient sembra introdurre quasi fisicamente l’ascoltatore nella camera della struggente “Hotel room”, creando un’atmosfera di staticità solo apparente, prima della scarica emozionale di ‘’Whilst my heart breaks”. Alternando riverberi ambient ad arpeggi acustici sognanti, Allen descrive l’ambiente che lo circonda, sussurrando immagini malinconiche come in “Tangent mind” e nella sentimentale “In absence of you”, ma è con “Tapestry”, il cui testo dà forza all’intero lavoro, che raggiunge una sorta di catarsi emotiva: “Here in the snow, where I first let you go / It plagues my heart, how it all fell apart / I always thought, we would be, tapestry / Together entwined, now this dream, it has died”.

 

“Tapestry” viene difatti scelta anche come singolo e a questo proposito, in un’intervista dello scorso novembre, Allen racconta: “Perdiamo cose, cose che pensiamo di avere per sempre […] Può devastare il tessuto della nostra realtà. Ho scritto questa canzone per una persona che ho perso e che mi ha insegnato molto, una persona con cui contavo di avere ancora molto tempo. Ho registrato 'Tapestry' da solo, come stessi scrivendo sul mio diario, senza l'intenzione di condividerlo con nessuno, solo per esprimere me stesso. Ma con una piccola spinta da parte dei miei amici, eccomi di nuovo qui, a offrire i miei sussurri al vento”.

Anche il video musicale che accompagna la canzone è stato diretto dallo stesso Allen, che a riguardo sottolinea: “Volevo che il video sembrasse un nastro di found-footage, ma proveniente dal mio subconscio. Un inciampo attraverso boschi oscuri, incrociando figure familiari e fantasmi, reali e immaginari”.

Non solo nel video di “Tapestry”, ma ascoltando l’intero disco si percepisce l’ambiente onirico che circonda Puma Blue, come le campane di “Decatur”, campionate con un vecchio registratore, che riverberano nella traccia ambient che chiude il disco.

 

Antichamber è un lavoro intimo, dalle connotazioni minimal e ambient, che ricorda Grouper e il folk songwriting di Mark Kozelek con i Sun Kil Moon. Un flusso di coscienza introspettivo e solitario che ci porta a tu per tu con i nostri demoni. Un rinnovato stupore nel vedere come ancora una volta Puma Blue possa raccontarsi mettendosi a nudo e portando l’ascoltatore a fare lo stesso.

E se per alcuni Antichamber presenta un'involuzione nello stile, poiché si sceglie la strada di una minore elaborazione, dovuta anche all’assenza della band, io lo definirei un ritorno alle origini, un ritorno alla sua camera.

Se i suoi primi lavori, Swum Baby e Blood Loss, sono le notti insonni che Puma Blue trascorreva tra le sue tumultuose emozioni, Antichamber, nonostante i temi e l’atmosfera cupa, rappresenta le prime luci del mattino che filtrano dalla propria stanza, da cui si può veder trasparire una speranza, ricordandoci, ancora una volta, che non c’è luce senza buio.