Cerca

logo
REVIEWSLE RECENSIONI
10/12/2018
Virtual Time
Animal Regression
Non c’è solo Rap e It Pop oggi in Italia. Saranno pure il trend del momento ma la verità è che si è sempre ascoltata e suonata qualunque cosa, per fortuna la possibilità di successo non è mai stato l’unico criterio per decidere di intraprendere o meno una certa strada.

I Virtual Time, da Bassano del Grappa, lo sanno bene. È dal 2012 che ci deliziano con il loro Hard Rock robusto e senza compromessi, le radici profondamente immerse negli anni ’70, come se nel frattempo nulla di nuovo fosse accaduto.

Da aprile Alessandro Meneghini, Luca Gazzolla, Marco Pivato e Filippo Lorenzo Mocellin hanno deciso di imbarcarsi in una nuova avventura: registrare e pubblicare cinque album in un anno. Iniziativa paradossale, in un’epoca in cui la liquidità della musica sembra più importante della musica stessa, ribadire la centralità del disco come raccolta di canzoni, concepite come un insieme coeso, unite da un solo filo conduttore. Bisogna essere dei visionari, o se possibile dei romantici, ma si può fare. Lo hanno fatto i King Gizzard & The Lizard Wizard (che tutti sani di mente in effetti non sono) ma lo sta portando avanti anche il nostro Gianni Maroccolo, che a breve pubblicherà il primo di quattro capitoli, vendendoli solo sul suo sito ufficiale.

Ma torniamo a noi. “Animal Regression” è il secondo dei cinque e rispetto a “From the Roots of a Folded Sky” segna un deciso indurimento dei suoni. Se il precedente vedeva diverse incursioni acustiche nei territori del Folk, questo a livello di songwriting risulta meno variato, più spesso e monolitico.

L’attacco di “Grain of Existence”, massiccio e cadenzato, le linee vocali a la Robert Plant di Mocellin riescono già a dare una prima idea di quel che ci attende. C’è in effetti tanto Hard Blues, negli otto pezzi di questo lavoro. “High Class Woman”, per dire, potrebbe tranquillamente essere uscita dal canzoniere dei primi Led Zeppelin, mentre “The Adventure of Funky Boy” gioca ovviamente sulle omonime sonorità, con un riff centrale che sembra tirato fuori da “Pornograffiti” degli Extreme. Leggermente più “aperta” è invece “Heaven Is Asking”, dove ci sono maggiori dosi di melodia, soprattutto nel lavoro chitarristico. Menzione d’onore poi per la title track, dotata di un riff pesantissimo e incalzante, quasi Thrash è probabilmente l’episodio migliore del lotto.

Arrivati a questo punto, quasi stupisce sentire “Rush of Air” iniziare con una chitarra acustica, a metà tra i Jethro Tull e i Led Zeppelin di “IV”. Ci si riprende presto però, perché una pesante ritmica sabbathiana ci conduce senza mezzi termini nel cuore di un brano dove è ancora una volta un cuore elettrico a pulsare.

Sarebbe comodo dire che abbiamo anche noi i nostri Greta Van Fleet ma la verità è che i Virtual Time, ben lungi dal prendere unicamente i Led Zeppelin a numi tutelari, sono in giro da molto più tempo della band americana. Resta che, se ancora ci fosse fame di certe sonorità date per morte da più parti, qui potete trovare pane per i vostri denti. Vedremo che cosa ci prepareranno questi quattro veneti nei tre lavori che hanno ancora in programma…