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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
26/09/2022
Eugenio Finardi
Anima Blues
Probabilmente è fra gli album meno conosciuti dell’autore di Extraterrestre, ma rappresenta uno degli apici della sua lunga e strabiliante carriera. Apprezzato anche dalla critica, ha aperto nuove strade a lui e ai suoi fan più appassionati. Anima Blues colpisce per la potenza della voce di Finardi e per le straordinarie doti artistiche dei musicisti che lo supportano nel progetto. Undici composizioni costruite ad hoc per questo disco e una riuscita cover ci accompagnano in un viaggio a ritroso nel tempo, per tornare ad abbeverarci alla fonte della musica moderna.

La versatilità di Eugenio Finardi si è dispiegata un po’ in tutta la sua produzione discografica. Raramente l’artista milanese ha confezionato un album simile all’altro, dal rock ribelle anni settanta, ai lavori più intimisti degli ottanta, fino alla maturità degli arrangiamenti e sonorità della decade successiva. E se il nuovo secolo lo vede subito impreziosirsi di candidi e riusciti progetti, come O Fado e Il silenzio e lo spirito, niente faceva presagire un ritorno alle origini così eclatante con il fiammeggiante Anima Blues, che dimostra la sua essenza, il suo amore viscerale per la musica, una musica vissuta senza confini. Un fuoco, una curiosità, una passione e voglia di ricerca che Eugenio ha sempre avuto dentro, ma sboccia proprio poco dopo aver compiuto cinquant’anni, quando si sente finalmente libero di esprimersi come meglio desidera, senza accettare le logiche commerciali dell’industria discografica.

 

“Devo tutto a mio cugino che, credendo di farmi un dispetto, invece di regalarmi un disco dei Beatles, da me amati alla follia, mi porta i primi tre album dei Rolling Stones. Ecco il mio contatto primordiale con il blues, a tredici anni. Infatti le canzoni di quei 33 giri erano remake degli originali di Chuck Berry, Bo Diddley, Muddy Waters, e così via. Da lì sono risalito, con un percorso a ritroso, a Chicago e via via a tutto il blues rurale”.

 

Quando interpreta il blues, la sete di Finardi non si placa solo suonando gli standard tanto adorati, ma applica una nuova estetica al genere, componendo in base agli stilemi cari ai capiscuola e aggiungendo quel quid personale che rende speciale questa raccolta e le esibizioni live ad essa correlate. Anima Blues presenta undici brani originali e la rivisitazione della mitica "Spoonful" di Willie Dixon e Howlin’ Wolf, tutti aventi come comune denominatore l’intensità ritmica, la forza melodica e armonica. Viene effettuato un percorso che si nutre del presente, generato dal passato e che guarda al futuro. Gli straordinari artisti che accompagnano il cantautore in tal viaggio sono la perfetta sintesi per insinuarsi nella "Musica del Diavolo" e contribuiscono pure, in alcuni casi, alla stesura delle canzoni. Vince Vallicelli è un batterista dal talento cristallino, un nome di prestigio magnificamente adeguato per l’opera da compiere, così anche l’intramontabile Pippo Guarnera, uno dei più grandi hammondisti italiani, che Eugenio conosce fin dai tempi di Diesel (1977). Poi c’è il compare fidato di quegli anni, il virtuoso chitarrista Massimo Martellotta, una sicurezza quando si cercano ispirazione e improvvisazione. E pensare che, inizialmente, l’incontro tra queste esimie personalità nasce su idea di Vallicelli per esibirsi, nel 2003, in alcune date dal vivo su palchi prestigiosi, dal Naima di Forlì a rinomati club in Svizzera. L’alchimia è tale che il progetto sfocia, in seguito, in Anima Blues, grazie ai pezzi, concepiti durante le prove, nati da lunghe jam trasformatesi in canzoni.

Finardi evidenzia nell’album le doti di polistrumentista, suonando chitarra, basso e armonica; tuttavia ciò che cattura maggiormente è il canto: da brividi, da bluesman.

 

“Io mi consideravo un cantante di blues. Che sia diventato poi un cantautore è successo per caso: ma io avevo la consapevolezza di essere un cantante di rock-blues prestato alla musica d’autore. E finalmente, a cinquantatré anni sono riuscito a fare questo disco”.

 

"Mama Left Me" è una opener azzeccata, sembra di essere usciti direttamente dal mondo di John Mayall e stupisce, appunto, quella voce cavernosa che porta indietro alla sensazionalità dei maestri delle “12 battute”. Il duo Finardi-Martellotta confeziona inoltre la stupenda, seguente, "Heart Of The Country" ballad semi-acustica caratterizzata dai gorgheggi della National resophonic guitar, che strizza l’occhio al Taj Mahal degli esordi, quando era ancora a stretto contatto con Ry Cooder, e la sincopata e intrigante "Pipe Dream". I testi dell’LP sono interamente in inglese, per mantenere la magia di un’epoca, fatta salva una parte in spagnolo per l’ammaliante "Estrellita", motivo manifesto del progetto, sintesi del lavoro di gruppo di tutti i membri, che calpesta territori latineggianti in maniera suadente, mentre una vecchia conoscenza dell’artista milanese, nonché pilastro della storia della musica italiana, l’istrionico Mark Harris, alimenta con i suoi vocalizzi la profondità della potente "Mojo Philtre", contraddistinta da un riff magnetico e un’andatura sconfinante nell’hard rock di zeppelliniana memoria.

L’armonica dell’eccellente Franco Limido spinge verso nuovi orizzonti la giocosa "Holyland", forse la traccia in cui si evidenzia maggiormente il caratteristico songwriting di Eugenio Finardi; l’atmosfera ricalca New Orleans, alcuni fraseggi sembrano usciti dalla scrittura tenebrosa e colorata di "Dr. John". Si ondeggia tra un’incredibile energia sonora e una profonda meditazione nelle liriche, “Why does a man kill his brother, why men do this to each other. Everybody living in a reign of terror, down in the Holy Land. I just can’t find a reason, won’t you help me Jesus.” La parola Jesus riecheggia frequente nel testo e viene esclamata a mo’ di coro gospel dall’intera formazione, ad enfatizzare l’implorazione d’aiuto verso un’entità ultraterrena.

I brani sono magistralmente calati nella realtà stilistica e culturale del mondo caro a Muddy Waters, altro importante faro e riferimento, però stupiscono per la varietà, la produzione e gli arrangiamenti. "Long Way Home" reclama spazio nella bottega delle canzoni da rivalutare in un disco, grazie a un solo di wah wah da favola e all’ubiquità dell’organo, che sembra trascendere la melodia della composizione; "Marta’s Dream" è invece un bozzetto country folk reminiscente dell’insegnamento dei Traffic di "John Barleycorn (Must Die)", ove mellotron (Martellotta) e hammond (Guarnera) disegnano trame da sogno.

 

"Il blues vero è propriamente l’espressione di un dolore; anche quando è gioioso, quando è ritmo. Si tratta di una musica che ha un fondamento di sofferenza, di rabbia, è un sentimento oscuro, the blues, appunto, i blu. Il canto dunque diviene lamento, la voce è un rantolo, un ringhio, è lo strumento per dare colore a quel tormento".

 

Sono parole davvero appropriate, che si trovano nel bellissimo libro della Rizzoli, Spostare l’Orizzonte, piacevole e interessante “lunga chiacchierata” tra Finardi e Antonio G. D’Errico. E ricalcano la passione, la dolce fatica occorse per comporre "Barnyard Mama", un movimentato shuffle che ben figurerebbe su un disco di Stevie Ray Vaughan, e il breve gemito di "Doctor Doctor", schiaffeggiato dalla vibrante armonica del frontman.

Merita un discorso a parte la conclusiva "Sweet Surrender", struggente ballata interamente composta da Eugenio e carica di malinconia, di dolore che muove le corde dell’anima. In sette minuti l’autore si ricollega a tutte le composizioni vicino a questo genere che ha costantemente disseminato nell’abbondante discografia. Vengono in mente Why Love, Hold On, A Blues for the Eighties, l’atmosfera nostalgica dell’LP Dal blu, Kind of Woman e alcune canzoni le quali, pur se maggiormente staccate dai ritmi della musica del diavolo, ne rappresentano il messaggio e lo stato d’animo: "La vita fa male", "La mia vita senza te", "Sabbia mobile", "Lei non ti ama più" e "Shamandura" ne sono chiaro esempio.

 

Sicuramente Anima Blues non è il lavoro più famoso di Eugenio Finardi, ma rappresenta un tassello importante nella sua vita artistica; è il disco della svolta, della libertà per il prosieguo della carriera, in cui è riuscito davvero a spostare l’orizzonte della sua arte ed esistenza. Difatti, in seguito, sono giunti progetti altrettanto inaspettati come Il cantante al microfono, dedicato a Vladimir Vysotsky (2008), il ritorno al rock d’autore di Fibrillante (2014), e, in questi giorni, è in uscita il nuovo Euphonia Suite, particolare collaborazione con i brillanti musicisti Mirko Signorile (pianoforte) e Raffaele Casarano (sassofono). Non è mai mancata, poi, un’intensa attività live, molto partecipata e ardentemente attesa dal pubblico. L’applauso e il calore della gente sono sempre stati (e a maggior ragione lo sono ancor di più in questo periodo difficile del mondo) molto importanti per Finardi che, precorrendo i tempi, già dieci anni orsono, componeva "Nuovo Umanesimo", potente invettiva contro un futuro costretto a convivere tra la guerra e l’ingiustizia sociale.