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REVIEWSLE RECENSIONI
30/04/2019
Mark Morton
Anesthetic
In vacanza dai Lamb of God, Mark Morton si fa dare una mano da un paio di amici (e che amici!) e sforna “Anesthetic”, un album poliedrico e divertente.

Fino a una ventina di anni fa, quando un chitarrista si prendeva una pausa dalla band di appartenenza, o realizzava un album strumentale oppure si ritrovava costretto ad affidarsi a un altro cantante. Dal 1999 a queste due alternative se ne è aggiunta una terza, ideata da Clive Davis per Santana: è il metodo Supernatural, che prevede che il chitarrista sia affiancato da una serie di guest star di primo livello. Questa formula ha salvato la carriera di Santana, è vero, ma purtroppo ha anche creato dei mostri: prendendo la ricetta troppo alla lettera, infatti, il più delle volte quello che ne esce è un album senza una precisa direzione.

Per fortuna questo errore non lo ha commesso Mark Morton. Il chitarrista dei Lamb of God, dopo aver macinato metallo pesante per venticinque anni, per la prima volta esce allo scoperto con Anesthetic, il suo primo album solista, dove ha potuto riversare tutta una quantità di idee che per sound e attitudine non si sarebbero potute sposare con l’immaginario della band di Richmond.

Come ha raccontato lo stesso Mark, però, Anesthetic è diventato realtà soprattutto grazie all’insistenza di Josh Wilbur (produttore fidato dei Lamb of God, ma anche di Trivium, Megadeth e Gojira), il quale, dopo aver sentito le demo prodotte da Morton, ha insistito affinché non restassero in fondo al cassetto, ma prendessero vita. Con i Lamb of God in pausa, Mark non ha più avuto scuse e, con l’aiuto dello stesso Wilbur, Jack Oni e qualche amico (Mike Inez degli Alice in Chains, gli ex Black Crowes Steve Gorman e Marc Ford, Roy Mayorga degli Stone Sour, Ray Luzier dei Korn, Paolo Gregoletto e Alex Bent dei Trivium e David Ellefson dei Megadeth), ha completato in poco tempo le registrazioni di Anesthetic, affidando le parti vocali a un vero e proprio Dream Team di cantanti del giro Hard Rock e Metal.

Il risultato è un piccolo gioiello di Hard Rock, con Mark Morton sugli scudi e dove ogni cantante è al posto giusto, al completo servizio della canzone. E le chicche non mancano, a partire da “Cross Off”, con Chester Bennington del Linkin Park in una delle sue ultime registrazioni, autore di una performance devastante per rabbia e potenza. E non è male neanche il ritorno al Rock di Mark Lanegan, che in “Axis” lascia da parte le sonorità Elettro Folk dei suoi lavori da solista per tornare dalle parti di Seattle e al Grunge psichedelico dei suoi Screaming Trees. E se con Chuck Billy nei paraggi è difficile non pensare ai Testament (“The Never”), in Anesthetic non mancano le sorprese: in “Save Defiance” Myles Kennedy dà al pezzo un sapore à la Guns N’ Roses, in “Back from the Dead” Josh Todd dei Buckcherry riporta in vita il Rap Metal, mentre in “Reveal” la vocalità di Naeemah Maddox regala al pezzo un fragrante sapore Soul/Jazz.

Niente New Wave of American Heavy Metal, quindi? Non proprio. In “The Truth Is Dead”, che chiude l’album, arriva Randy Blythe dei Lamb of God. E assieme al frontman della sua band, Mark ritrova il sound che lo ha consacrato: dopo un’introduzione a tinte Folk affidata ad Alissa White-Gluz degli Arch Enemy, quando arriva il ruggito di Blythe e il riff schiacciasassi di Morton, lo spettro dei Lamb of God riappare in tutta la sua brutale violenza e non ce n’è per nessuno. Dopo aver giocato ed essersi divertito per i precedenti 38 minuti, non c’è modo migliore per tornare a casa.


TAGS: Anesthetic | Josh Wilbur | Lamb of God | Mark Morton | metal