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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
03/03/2025
Live Report
Andy Timmons, 01/03/2025, CrossRoads Live Club, Roma
Andy Timmons, maestro della chitarra elettrica in ambito rock, hard rock, glam metal e non solo, arriva al Crossroads, realtà storica della scena romana, per stupire un pubblico che non vede l'ora di assistere alle sue meraviglie chitarristiche. Qui il bel raccolto della serata da parte del nostro Magnus e la piccola galleria fotografica del nostro Gianluca D'Alessandria.

Cosa mi metto stasera? Non equivocatemi, non parlo di vestiti. Mi chiedo che abito mentale devo indossare per essere in sintonia con quello che andrò ad ascoltare, cosa che trattandosi di Andy Timmons non va considerata una domanda banale. Per chi lo conosce il dubbio è chiaro, mentre per chi fosse indietro degli ultimi (facciamo) trent’anni di personaggi della chitarra mi limiterò a dire che stiamo parlando di un artista che non si è perso nessuno step nella evoluzione del nostro amato strumento (detto da un bassista quale io sono, la cosa vale doppia), riuscendo anzi in non pochi casi a stare anche un passettino avanti.

Questo, però, complica la risposta alla domanda di cui sopra: che cosa dobbiamo aspettarci da uno che ha fatto rock, hard rock, glam metal, qualche scorribanda nella fusion tardi anni '90, ma sempre a modo suo, e che non disdegna (anzi gode nel farlo) di coverizzare canzoni di mostri sacri come i Beatles?

Francamente non lo so, e per questo, in ossequio alla mia pigrizia, chiedo la scaletta agli organizzatori i quali si dicono desolati ma non ce l’hanno nemmeno loro.

Pace. A questo punto passo alle domande due e tre. Almeno il nostro annuncerà i brani, acciocchè io possa riconoscere quelli meno famosi? (Spoiler: sì, lo farà quasi sempre) E poi, riusciranno le mie orecchie a contenere gli ettolitri di note che, ci posso giurare, usciranno dalle sue dita? (Spoiler 2: sì, e senza nessuna fatica)

Da queste premesse penso sia chiaro che farsi un’idea di un concerto di Timmons non è un affare semplice. La sua carriera, se mi si passa una metafora, è come un ponte gettato fra due rive, con quella di approdo che si allontana costantemente e con strade che corrono su due livelli in cui quello di base è costituito dall’enorme sapienza tecnica e quello di sopra appare come puro godimento della musica senza chiedersi “ma questo cosa è” o “a chi somiglia in questo passaggio qui”.

Rimugino su questo fatto in fila sotto una lieve pioggerellina di marzo in attesa di entrare al CrossRoads, realtà storica della scena romana, che negli anni ha ospitato schiere di artisti sia emergenti sia di nomi famosi.

 

Siamo in anticipo, e mentre Gianluca si fa largo per guadagnare un posto adatto per il servizio fotografico io mi guardo intorno per capire la fauna. Mi faccio un’idea che il prosieguo del concerto non smentirà. La sala è piena di due tipologie di pubblico. Ci sono i chitarristi di livello più o meno avanzato, che non vedono l’ora di avere dal vivo evidenza delle capacità di Timmons, e poi quelli che la chitarra magari non hanno mai imparato a suonarla ma gli sarebbe piaciuto tanto. Signori, la verità è che chi sta qui non ci è capitato per caso e penso che anche chi mi sta leggendo in questo momento faccia parte di questa schiera. Pertanto, andiamo a parlare di quello che è successo.

Cominciamo dalla Band: trio classico chitarra-basso-batteria (cosa serve di più?). Il set up di Andy è composto da un paio di chitarre Ibanez (di cui è endorser) due ampli Mesa Boogie, e una pedaliera ricca ma non inutilmente sovrabbondante, dove ovviamente campeggia il famoso Halo di cui Timmons è l’inventore. Nel seguito per quelli curiosi un set up tipo di Timmons:

 

 

Il concerto è previsto per le 22.30, ma noi arriviamo con un certo anticipo e possiamo assistere all’esibizione dell’artista che ha il complicato compito di aprire la serata. Nel nostro caso si tratta del (bravo) chitarrista Alberto Lombardi, che in modo intelligente riempie bene tre quarti d’ora di attesa per il piatto forte. Lo fa proponendo una lista composta da cover ben riuscite con un paio di brani suoi, uno all’inizio ed uno alla fine, dove ha modo di farci apprezzare le sue capacità. Il pubblico apprezza.

 

In perfetto orario arriva il turno di Timmons, che a modo suo ci spiazza subito e, invece di partire a cannone, ti butta lì un pezzo trasognato e ricco di atmosfere, lento, con sorprendenti e improvvise accelerazioni. Con il secondo pezzo (super 70’s) si stabiliscono subito alcune cose: la serata sarà molto densa e il nostro Andy è realmente in una forma smagliante.

Nei dieci minuti che aprono il concerto la sua poetica che insieme è tecnica e cuore viene esposta in modo molto chiaro. Mai una nota fuori posto; nei passaggi più morbidi ma anche nelle accelerazioni a rotta di collo dove il bending si fa estremo e lo strumming selvaggio Timmons dice chiaro e tondo che se vuole può tranquillamente gareggiare con quelli che chiamo i centometristi della tastiera, ma sa anche come fermarsi sul ciglio di quel burrone che separa l’arte dalla cafona esibizione di muscoli. Timmons fa questo effetto, su disco certamente, ma ancora di più dal vivo. In questo pezzo sento un assolo fatto a mille chilometri l’ora senza che mai si smarrisca il filo del discorso e mantenendo una compostezza difficile da spiegare. Se mi passate l’analogia, sembra di sentire le vertiginose scorribande parkeriane di certo be bop più estremo. Anche se qui siamo in ambiente rock e per giunta nei locali è pure vietato fumare. Penso che per me (ma sospetto anche per il resto del pubblico) se il concerto per avventura finisse qui varrebbe tutto il prezzo del biglietto. Ho occhi testa e cuore pieni a sufficienza.

Ma no, per fortuna non finisce qui. Nella successiva ora e mezza abbondante Simmons viaggia nel tempo e nello spazio dandoci una lezione di hard rock a modo suo ("Winterland") in cui ho la sensazione di non sentirgli ripetere due volte la stessa scala negli assoli (so che non è possibile, ma sembra così), si produce in uno struggente brano dedicato a Jeff Beck, ci sbatte in faccia una canzone che si, è certamente metallo, ma confezionata in modo che potrebbe anche non esserlo ("Deliver Us").

 

Che altro? Ah si, ho adorato il capitolo glam metal con un brano ("Take me with you") che pare rubato al repertorio degli Skorpions e mi sono goduto alcune sonorità che non avrebbero disdegnato i Police nella loro più tarda produzione. C’è anche tempo per apprezzare un breve ma efficace solo di batteria da parte di Rob Avsharian e annotare la discreta e solida presenza di Mike Daane al basso.

Infine, per non farci mancare nulla, c’è il tema Cover, quasi una categoria a sè nella produzione di Timmons. Nel caso del concerto di stasera sono rappresentate da una "Strawberry Fields" in formato acido (certo sarebbe piaciuta moltissimo a John Lennon), e una filologicissima lettura di "Bohemian Rapsody", talmente educata che tutto il pubblico si è prodotto in cori apprezzabilmente intonati.

Alla fine ho bisogno di qualcosa che riassuma il senso della serata. Lo trovo in un commento di un tizio che, rivolgendosi al compagno di concerto, a mio parere sintetizza al meglio lo Zeitgeist: “Che je voi di’?”.

Niente Andy, non abbiamo proprio nulla da (ri)dire.

 

 

Le foto della serata, a cura di Gianluca D'Alessandria

Andy Timmons

 

 

Open act: Alberto Lombardi