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REVIEWSLE RECENSIONI
And Nothing Hurt
Spiritualized
2018  (Fat Possum Records / Bella Union)
PSICHEDELIA ALTERNATIVE
8/10
all REVIEWS
12/09/2018
Spiritualized
And Nothing Hurt
Molto candidamente, Jason Pierce ha ammesso che da più parti gli è stato detto che avrebbe sempre scritto la stessa canzone, disco dopo disco. Ascoltando l’ultima fatica dei suoi Spiritualized possiamo ribadire che si tratta di un’osservazione del tutto legittima.

A sei anni di distanza da “Sweet Heart Sweet Light”, abbandonate ormai le dilatazioni da Space Rock psichedelico che ne avevano caratterizzato i primi lavori, il musicista britannico pare ormai del tutto abbandonato alle dolci melodie a metà tra il Folk e il Gospel, da tempo suo autentico territorio di esplorazione.

Non è stato facile, portare avanti tutto questo: “Ogni volta che entro in studio mi sembra di aver dimenticato tutto quello che so su come si realizza un disco” ha spiegato recentemente e nel comunicato stampa rilasciato poche settimane prima dell’uscita, ha dichiarato tutto il dolore scaturito da questo processo creativo. C’è qualcosa di affascinante in tutto questo, nella sofferenza che inevitabilmente sta dentro bellezza, di quanto anche le cose più vere della vita implichino lo strappo, la lacerazione (dopotutto la metafora del parto è vecchia come il mondo).

In questo caso particolare poi, ancora di più: contrariamente al kolossal “Let It Come Down”, dove era stata assemblata una vera e propria orchestra, qui l’ex Spacemen 3, anche a causa di ristrettezze di budget, si è trovato a dover fare tutto da solo, nella sua casa nell’East London, con un laptop e Pro Tools. Ha campionato il suono dei vari strumenti orchestrali dalla sua collezione di dischi e solo alla fine, a lavorazione ultimata, ha affittato uno studio per sovraincidere fiati, timpani e contrabbasso. Ne è dunque uscito un disco strano, messo insieme pezzo per pezzo, diverso dalle cattedrali del passato e dalle mirabolanti esibizioni live per cui è giustamente famoso (chi c’era quest’anno al Primavera Sound lo sa benissimo). Eppure, in qualche modo misterioso, nonostante il suono non sia sempre impeccabile, nonostante un certo senso di frammentarietà che si avverte a più riprese, la bellezza di “And Nothing Hurt” è lampante, innegabile.

Un po’ perché, come detto prima, Jason Pierce scrive sempre la stessa canzone ed è una delle più belle canzoni che ci siano; un po’ perché, questa cosa del voler venire a patti con la propria età, del fatto che “non ho più 23 anni”, ha reso questi nove episodi più sinceri che mai.

Non è un disco rock, “perché il rock è una cosa da giovani, pieno della stupidità e dell’arroganza della giovinezza”. È un disco che parla piuttosto del tempo che passa, del fatto che, più si va avanti nella vita, più si impara a vederne la bellezza, ad acquisire uno sguardo sereno.

Ed è proprio la serenità il sentimento che si respira di più in questo disco, in queste canzoni che suonano tutte esattamente identiche a come dovrebbe essere un disco degli Spiritualized. “And Nothing Hurt”, dice il titolo, niente fa male. E lui lo sa bene, dato che nel 2005 ha visto la morte in faccia a più riprese, prima per una polmonite, poi per un problema al fegato; superata una cosa del genere, è evidente che si impari a vedere l’esistenza da un’altra prospettiva.

Per cui non è uno scandalo indicare questo come un lavoro positivo, solare quasi, come nessuno dei precedenti sette episodi della sua discografia era riuscito ad essere.

Lo schema è sempre quello, fatto di un tema lanciato all’inizio, che si ripete riempiendosi gradualmente di orchestrazioni, con un uso suggestivo del crescendo che sfocia nell’immancabile esplosione finale ad alto tasso di emozione.

Una formula consolidata, che questa volta tiene bassi i giri, producendo solo due episodi ad alto ritmo: la blueseggiante “On the Sunshine”, vicina alle atmosfere di un disco come “Amazing Grace” e la lunga cavalcata di “The Morning After”, sovrabbondante di strati orchestrali, dove i fiati si divertono a fare scorribande nei territori del Jazz.

Per il resto, tutto come da copione: dall’iniziale “Perfect Miracle”, talmente intensa che le perdoniamo la somiglianza fin troppo accentuata con “Ladies and Gentlemen We Are Floating in Space”, a “Here It Comes (The Road) Let’s Go”, con il suo crescendo corale in stile Gospel; dalla sofferenza di “Damaged” alla ballata “I’m Your Man”, col suo Blues romantico.

Tutto bellissimo, tutto già sentito. Il classico disco di cui non si ha bisogno ma che poi, una volta che ce l’hai, lo ascolti in loop per ore intere. Ha detto che potrebbe trattarsi del suo ultimo lavoro, che potrebbe riunire gli Spacemen 3 ma anche che, una volta portate dal vivo queste nuove canzoni, sarà talmente contento che tornerà in studio a realizzarne altre.

Una cosa è certa: dovesse finire tutto così, nessuno avrebbe rimpianti. Eppure, allo stesso tempo, non siamo ancora veramente pronti a rassegnarci che sia finita.