Ebbi la fortuna di vedere Suzanne Vega dal vivo negli anni ’80, quando, giovanissima, venne a suonare all’Arena di Milano per presentare il suo celeberrimo Solitude Standing. Ricordo un concerto ricchissimo e coinvolgente, un piccolo gioiello di equilibrio e calore, di eleganza e sensibilità. Ricordo una musicista interessata all’essenziale, tesa solo a condividere la sua musica con il suo pubblico, a suonare bene, concentrata sulle note e le sfumature, per rendere al meglio quelle piccole grandi canzoni, alcune delle quali, oggi sono patrimonio universale di tutti gli appassionati.
Decenni fa, un’altra era. Anni in cui, questo folk rock, intimista ma dal linguaggio universale, scalava le classifiche di mezzo mondo, conquistava plausi ovunque, e vendeva più di qualsiasi altra musica del momento (l’anno dopo, per dire, esplose il fenomeno Tracy Chapman, quella piccola e fragile ragazzina che, armata solo di chitarra, cantava di reietti e rivoluzioni).
Oggi i tempi sono cambiati, Suzanne Vega è quasi sessantenne e le sue canzoni, pur restando patrimonio di un folto gruppo di appassionati, non scalano più le classifiche. Lei, però, non è cambiata, ha sempre mantenuto fede al suo credo artistico, prendendosi anche il tempo per vivere la sua famiglia, continuando però a rilasciare dischi, forse non sempre ispiratissimi, ma di sicuro confezionati con alti standard di delicato artigianato.
Registrato al Cafè Carlyle di New York, agli inizi del 2019, An Evening Of New York Songs And Stories è una sorta di concept live dedicato alla Grande Mela, alla città in cui la Vega si trasferì da bambina e in cui è cresciuta. Un omaggio, dunque, che ci conduce per mano fra le strade della metropoli dalle mille contraddizioni, in un percorso affettuoso e nostalgico, che la songwriter tratteggia attraverso brevi racconti.
E poi c’è la musica, le canzoni, alcune famosissime, altre meno, suonate grazia anche al contributo di una band (il fido Gerry Leonard alla chitarra, Jeff Allen al basso e Jamie Edwards alle tastiere) perfetta per esaltare la trama delicata di canzoni appassionate e intense.
Suzanne dal vivo è esattamente come la ricordavo, dopo averla vista decenni fa: essenziale e coinvolgente. Esattamente come questo disco, per il quale si potrebbero spendere aggettivi altisonanti, visto che, dalla prima all’ultima canzone, è un continuo palpito, una continua emozione. E tra grandi e indimenticati classici (Luka, Marlene Is On The Wall, Tom’s Diner, Thin Man) spunta anche una cover minimale di Walk On The Wild Side di Lou Reed, tanto bella da lasciare senza fiato.