I fratelli Manetti (Marco e Antonio) fanno un'ulteriore passo avanti nella loro poetica cinematografica creando qualcosa di unico e bizzarro per il panorama della commedia italiana all'interno del quale, ibridando generi e visioni, avevano già lasciato segni forti di un'originalità personale e sinceramente spassosa che ha allietato le ore di tantissimi spettatori, creandosi anno dopo anno, tra film e serie televisive, un pubblico affezionato pronto a seguirli in ogni loro nuova mossa. Dopo il successo di Song'e Napule i due registi ridanno fiducia e per la seconda volta consecutiva riversano il loro amore sulla città di Napoli, scenario di una vera e propria storia di amore e malavita. Il cast è consolidato e si è probabilmente assemblato quasi da solo, i volti sono per lo più noti a chi ama il Cinema dei Manetti: viene giustamente dato più spazio rispetto a quello che aveva nel film precedente a quel mostro (in senso buono) di Carlo Buccirosso, alta scuola della recitazione, Morelli è immancabile e insieme a Serena Rossi forma la coppia protagonista di questa vicenda d'amore imbevuto di sangue, torna anche il Raiz (Gennaro Della Volpe, cantante degli Almamegretta) già visto in Coliandro, ottima la presenza di Franco Ricciardi (già Mazzadiferro in Song'e Napule) e sorprende un'ottima Gerini che pur lasciando intuire di non essere realmente d'origini napoletane offre un'ottima prova che ha raccolto diversi riconoscimenti grazie all'interpretazione di Donna Maria.
L'oggetto Ammore e malavita si può considerare quasi unico, una mistura che travalica anche i generi, andando a toccare la sceneggiata napoletana così come il musical di stampo più moderno, le derive criminali tanto care ai Manetti consolidate nella tradizione (cinematografica) nostrana mischiate a momenti di danza e ballo; Ammore e malavita è commedia e allo stesso tempo si concede la più classica delle "zeppate" napoletane con una esilarante e non troppo nascosta critica a chi di Napoli vuole esaltare solo il peggio, meravigliosa tutta la sequenza girata a Scampia con il gruppo di stranieri in visita turistica alle Vele, un passaggio che esalta il connubio tra situazione, canzone e momento danzante. Chapeau! I Manetti si concedono ancora all'effettaccio dal basso (il proiettile al ralenty) ma per il resto impiegano il budget tirandone fuori ottimo Cinema, di quello capace in qualche modo ancora di stupire, di lasciare lo spettatore soddisfatto per non aver visto la solita commediola da quattro soldi.
Don Vincenzo Strozzalone (Carlo Buccirosso) è il re del pesce sulla piazza di Napoli e sul porto di Pozzuoli, gestisce un'impero criminale minacciato da diverse famiglie avversarie. Scampato a un'agguato volto a toglierlo di mezzo, grazie all'intervento delle sue due "Tigri", Ciro (Giampaolo Morelli) e Rosario (Raiz), due inarrestabili killer in motocicletta, Don Vincenzo decide di sparire e, istigato nell'idea da sua moglie Donna Maria (Claudia Gerini), cinefila incallita, inscena un finto funerale con tanto di sosia a riempire la bara (James Bond docet). Ma una giovane infermiera, Fatima (Serena Rossi) primo amore di Ciro, vede il boss ancora vivo, diventando così uno scomodo testimone che proprio le Tigri dovranno togliere di mezzo. Ma Ciro non ce la può fare.
I Manetti stravolgono un poco l'utilizzo a cui siamo abituati di Giampaolo Morelli, qui un vero tenebroso, ancora capace d'amare ma che raramente si concede al suo lato più cazzaro così congeniale all'attore napoletano, lo fanno cantare e qui forse qualche limite dell'attore emerge, schiacciato in mezzo a tanta altra gente che col canto è molto più a suo agio o addirittura ne ha fatto un mestiere (Raiz o Franco Ricciardi ad esempio), per quel che riguarda il versante canoro la Gerini già aveva dimostrato di non essere estranea a questo mondo, la Rossi la conosciamo molto bene e anche Buccirosso di mestiere se la cava. Le musiche amalgamano la tradizione napoletana a suoni più moderni conferendo al film un'identità difficile da catalogare tra musical, commedia e gangster story con l'aggiunta dei siparietti danzanti, identità di grande valore nell'ottica di portare il nostro Cinema da qualche altra parte, fuori dalla palude dove spesso si trova a ristagnare quando ci si avventura lontano dai grandi e noti autori riconosciuti da tutti.