I dubbi sulla bontà di un film come American sniper, se ce ne sono, sono tutti di natura ideologica, etica e morale. È riconosciuto quasi all'unanimità dalla critica professionistica come Eastwood sia uno dei maggiori registi viventi: il vecchio sa come si dirige un film, sa come far girare una storia al meglio, sa piazzare sullo schermo le immagini giuste, sa a quali tecnici affidarsi, sa come portarsi a casa il risultato. American sniper non fa eccezione, è un ottimo film che punta i riflettori più sull'individuo Chris Kyle (Bradley Cooper) che non sulla guerra in Iraq vista come evento storico, economico e politico; ciò non toglie che il contesto sia importantissimo nell'economia di un film che ha suscitato parecchie critiche e qualche polemica. Che Clint da sempre sia un Repubblicano con lo sguardo rivolto a destra lo sanno tutti, che questo automaticamente lo renda un "fascistone" come spesso viene apostrofato rimane tutto da dimostrare, anche perché molti dei suoi film non offrono il fianco a queste accuse, a meno che non si voglia strumentalizzare in maniera facile e superficiale il suo Cinema, in questo caso allora potremmo affermare tutto e il contrario di tutto.
Indubbiamente alcune delle critiche mosse a questo film, soprattutto se lo sguardo appartiene a uno spettatore non-americano, potrebbero risultare condivisibili, una su tutte la tesi, questa si un po' superficiale, che il nemico sia in ogni caso il "cattivo" della situazione, il selvaggio crudele al quale i ragazzoni americani imbottiti di torta di mele e buoni sentimenti vanno ad insegnare come si sta al mondo. Fuori dai confini statunitensi più o meno tutti sanno che i ragazzoni americani così pieni di salute sono una manica di rompicoglioni che spesso avrebbero fatto bene a starsene buoni buonini a casa loro; il Cinema Hollywoodiano riguardo a questo non è miope: di quanto i soldati americani possano essere dei bastardi senza scrupoli ce lo racconta De Palma con Redacted, dell'incuranza del Grande Paese nei confronti dei suoi figli, dei danni che la guerra procura loro (al netto delle morti) se ne occupa la Bigelow in The hurt locker e via di questo passo, gli esempi potrebbero essere molti; anche Clint, partigianeria a parte, non manca di sottolineare la crudeltà e le brutture alle quali le situazioni narrate conducono, da ambo le parti. Probabilmente, anzi, in maniera certa, se un paese come l'Iraq avesse un'industria cinematografica come quella di Hollywood avremmo la possibilità di vedere degli eroi iracheni combattere l'americano brutto, sporco e cattivo, ma l'Iraq questa industria non ce l'ha (o comunque non è così influente) e quindi...
Come da tradizione americana, con uno sguardo tutto a stelle e strisce (e non sempre è stato così nei film di Eastwood, vedi Letters from Iwo Jima ad esempio), al centro della storia c'è l'eroe, il singolo, il cavaliere solitario, in questo caso visti gli occhi azzurri di Cooper e la provenienza di Kyle abbiamo anche il nostro texano dagli occhi di ghiaccio, l'eroe della frontiera, l'individuo capace di cambiare le sorti di una storia. È la figura di Kyle che Eastwood ci racconta: tipico prodotto degli stati del sud, Chris Kyle decide di arruolarsi sulla scia emotiva degli attentati dell'11/09. Sottoposto al durissimo addestramento dei Seal, Kyle ne esce trasformato nel miglior cecchino che l'esercito statunitense abbia mai dispiegato in campo; per Kyle la missione in Iraq consiste nel proteggere la sua Patria, almeno a livello astratto e ideologico, nel concreto il suo compito è quello di coprire le spalle ai marines che rastrellano i dintorni e la città di Falluja, salvando a ripetizione le loro vite. Ad aspettarlo a casa la giovane moglie Taya (Sienna Miller) e il loro primo figlio.
Rimarcando ancora una volta come la separazione della dicotomia bene/male non sia così netta come Eastwood ce la propone, c'è da dire che il regista non manca di sottolineare le scelte difficili e crudeli alle quali Kyle si è dovuto sottoporre. Perché anche in guerra, comunque lo si voglia chiamare, l'omicidio di un bambino rimane l'omicidio di un bambino, l'omicidio di una donna resta l'omicidio di una donna. Diventa difficile giustificare con lo sventolio di una bandiera, per quanto bella e affascinante possa essere, atti di questa portata. In questo Eastwood non fa sconti, se le motivazioni possono sembrare quelle giuste le azioni rimangono dubbie, anche le più terribili non vengono sottaciute dal regista che una volta ancora dimostra di applicare un'onestà di fondo che è doveroso attribuirgli. E se alcuni commilitoni fanno di Kyle una sorta di mito moderno, non mancano da parte di altri, compreso il fratello del protagonista, le sacrosante critiche all'insensatezza di una guerra che nulla di buono potrà mai portare. Le conseguenze infatti, e Eastwood ce le mostra tutte, gli uomini le portano sui corpi mutilati e nella testa, lo stesso Kyle non riesce ad abbandonare l'Iraq, nemmeno quando è a casa, con i figli, tra le braccia della moglie, i postumi da stress post-traumatico, diffusissimi tra i reduci, non sono facili da gestire per nessuno, nemmeno per la "Leggenda".
A conti fatti American Sniper si rivela un bel film, sicuramente di parte, ma che presenta anche tutti gli elementi per poter interpretare in maniera lucida ciò che accade sullo schermo. Formalmente ineccepibile, magari prevedibile, con un Bradley Cooper mastodontico come ottimo protagonista. Ancora una volta Clint non tradisce, esplorando la sua filmografia sicuramente abbiamo modo di trovare diverse opere di maggior valore di questa che comunque si rivela un ulteriore e ottimo tassello in una carriera invidiabile. Con o senza cappello.