Non ho idea del motivo per cui non sia mai riuscito a vedere dal vivo gli Altre di B. Il quartetto bolognese è in giro dal 2011, quando ancora l’Indie Rock aveva delle ragioni per chiamarsi così e quando cantare in inglese pur essendo italiani era un’operazione naturale, frutto di ascolti ed esperienze precise.
There’s a Million Better Bands è uno degli album simbolo di quella stagione, prima di Calcutta, prima che il Pop venisse chiamato Indie, prima del Mainstream, prima del Rap, prima di Instagram; prima di adesso, insomma. Nessuna velleità nostalgica, ci mancherebbe, mi piace quello che sta accadendo in Italia da un po’ di tempo a questa parte (mi piacciono diverse cose, se non altro) ma era solo per fornire qualche informazione di contesto. Gli Altre di B sono italiani ma non hanno nulla che lo faccia capire, erano diventati un bel fenomeno all’epoca, oggi appaiono un po’ fuori posto ed è un peccato, perché meriterebbero senza dubbio molto di più. L’ho sempre pensato ma dopo averli visti l’altra sera non ho potuto non ribadirlo: perdonatemi se tiro fuori il solito becero luogo comune, ma se questi fossero stati americani o inglesi viaggerebbero senza dubbio su altri lidi e altri numeri. Non è un problema, a loro sembra non interessare e del resto si divertono tantissimo lo stesso; concedetemi tuttavia una certa amarezza.
SDENG, il loro quarto lavoro in studio, è uscito lo scorso maggio, ha incorporato nuove influenze nella loro proposta (un certo gusto Afro Beat e una generale maggiore elaborazione delle strutture ritmiche) e li ha confermati come una delle realtà migliori del nostro paese.
Stasera arrivano a Milano, città dove sono sempre stati di casa e da cui mancavano da un po’. Ci sono tutte le premesse per una bella festa, quello che poi è puntualmente avvenuto.
Siamo alla Palestra Visconti, che da quando l’Arci Bellezza ha ripreso la propria attività concertistica costituisce una location affascinante per diversi live che vengono organizzati qui.
Ad aprire troviamo Carlo Pinchetti, che da pochi giorni ha compiuto 40 anni e che per festeggiare ha dato alle stampe (sempre per l’attivissima Gasterecords) il Live al Centro Sulé, sette brani registrati lo scorso dicembre nella sua Bergamo, una setlist che spazia dal suo esordio solista Una meravigliosa bugia ad estratti dei suoi progetti più recenti come Lowinsky e Finistère, con la piacevole aggiunta di due cover di Big Star e Johnny Thunders.
I Lowinsky non esistono più, Oggetti smarriti è uscito proprio allo scoppio della pandemia e tale concomitanza ne ha affossato irrimediabilmente il destino. Questa sera c’è lui da solo, accompagnato dalla chitarra acustica, che è poi la modalità con cui ha girato nell’ultimo anno. Apertura con “Fluo”, dallo split realizzato assieme all’amico Geep Coltrain, qualche brano solista (“Lacrime”, “Recriminare”, “Fuori di me”), un richiamo ai Finistère (“Pronti alla rivolta”), uno si Lowinsky (“Bandiera”) e la chicca “Divan”, cover degli australiani Smudge ripresa a suo tempo anche dai Lemonheads.
“Vi faccio un po’ di canzoni tristi prima che arrivino gli altri a farvi divertire” scherza all’inizio, ma la verità è che il suo è un set piacevole e disteso, con canzoni sempre valide (del suo repertorio ho già scritto in altre sedi), ben eseguite, e un’attitudine sincera e aperta che stempera molto l’innegabile malinconia di cui sono ammantati i brani.
Gli Altre di B arrivano pochi minuti dopo e sin dall’attacco di “Peacock” fanno capire di voler recuperare il tempo perduto. Dal vivo sono effettivamente devastanti, non solo suonano potenti e precisi, curando tantissimo i dettagli e lavorando sulle dinamiche (in un genere come il loro, il rischio di essere un po’ raffazzonati in sede live esiste sempre) ma mettono su un concerto anche visivamente coinvolgente, sia per la notevole presenza scenica (è un dato che forse oggi si tende a curare meno, ma se fai rock e usi le chitarre ti devi scatenare, devi far vedere che te la stai godendo) sia per come sanno coinvolgere il pubblico.
Risultato: impossibile stare fermi e distanza tra sopra e sotto il palco completamente annullata. Due episodi in particolare a marcare questa atmosfera festaiola: quando prima di “Diagram” distribuiscono maracas e sonagli ai presenti, in modo che la già fortissima carica percussiva del brano venga maggiormente amplificata, e quando, in occasione dell’esecuzione di “Sherpa”, uno dei loro pezzi più coinvolgenti, invitano tutti a salire con loro, con l’imperativo di “suonare tutto quello che potete”. Il risultato, nonostante i comprensibili timori, è più che buono, i quattro riescono ad eseguire il pezzo senza farsi troppo condizionare dall’invasione di palco e anzi, ne esce pure fuori una versione di notevole impatto, con un bel singalong di tutti, quelli su e quelli giù, sul ritornello.
Il resto è ugualmente bellissimo, loro sono ottimi musicisti e si muovono con naturalezza tra Synth e chitarre, facendosi spingere dalla forza propulsiva del batterista Andrea Orlandi (da pochissimo in forza anche nei Soviet Soviet) e dando ad ogni singolo episodio suonato una carica doppia rispetto a quella già presente su disco.
Setlist ben bilanciata su tutti e quattro i dischi, con il calore delle nuove e punkeggianti “It’s a Cloudy Day in San Francisco” e “It’s so Cool” accanto a vecchi e sempre irresistibili inni come “Zoff”, “No Present for your Birthday” e “Milky Moustache”. Ci sono anche due brani dei Baseball Gregg, amici di sempre della band, il cui chitarrista Luca Lovisetto è ora presente in line up. “On a Bus” e la conclusiva “Mathdance” sono graditissime aggiunte in un concerto già di per sé indimenticabile.
Ci ho messo dieci anni per sentirli ma finalmente lo posso dire: dal vivo gli Altre di B sono tra le migliori band che abbiamo in Italia e meriterebbero decisamente di più di quel che stanno raccogliendo. Speriamo non passi troppo tempo prima che ritornino dalle mie parti.