E’ quanto mai stucchevole parlare dei Bloc Party, facendo sempre riferimento al loro splendido album d’esordio, Silent Alarm (2005). Eppure, risulta quasi inevitabile, visto che quel disco aveva alzato l’asticella delle aspettative molto in alto, mentre, poi, tutti i lavori successivi, riascoltati, anche oggi, in retrospettiva, non sono mai parsi all’altezza del clamore suscitato dall’inarrivabile primo disco. Un giudizio, questo, forse troppo severo, perché, a onor del vero, bisogna dare atto alla band capitanata da Kele Okerere di aver avuto il coraggio di uscire dal rigido steccato indie post punk, per cercare nuove strade espressive, arricchendo la proposta di elementi elettronici, sezioni di fiati e arrangiamenti d’archi, passando dal suono muscolare di Four (2012) agli accenti r'n'b e gospel del precedente Hymns (2016), senza, però, mai trovare una quadra.
Cosa aspettarsi, dunque, da questo nuovo Alpha Games? I dubbi che il gruppo inglese fosse, per così dire, ancora in cerca di una propria identità, erano tanti, così come era forte la speranza di ritrovare le atmosfere ferocemente livide del loro esordio, in un ritorno al passato, che potesse nuovamente lustrare l’aura dei giorni di gloria. In realtà, questo nuovo lavoro, non fa che concentrare in dodici canzoni la storia dei Bloc Party, fortunatamente, però, con una chiarezza espositiva e un livello di ispirazione prevalentemente alti.
L'apertura dell'album, "Day Drinker", è un vera e propria sciabolata post-punk, così come la traccia successiva, "Traps", che è stata pubblicata come singolo l'anno scorso. Entrambi i brani riecheggiano piuttosto bene le vibranti atmosfere del loro debutto, anche se le chitarre suonano forse un po' più grintose e la produzione complessiva suona, ovviamente, un po' più aggiornata. Già le cose cambiano nella traccia seguente, "You Should Know the Truth", in cui permane un retrogusto anni ’80, ma un taglio decisamente più pop e melodico, mentre in “Callum Is A Snake” le chitarre tornano a ruggire, scontrandosi con l’estetica techno della successiva, ansiogena, "Rough Justice", che supera definitivamente gli stereotipi del moderno post punk. La ritmica tribale di "The Girls Are Fighting", sposta nuovamente gli accenti, facendo venire in mente, nonostante le spolverate di synth, il dance rock degli ultimi Royal Blood.
A questo punto è ben chiaro che se prendiamo come ampia cornice l’impostazione indie della band, il quadro dipinto dai Bloc Party possiede un approccio coloristico cangiante, quasi una sorta di crossover, in cui convivono ballate "Of Things Yet to Come", i cui echi anni ’80 evocano U2 e Simple Minds, brani che spingono verso il dancefloor come “By Any Means Necessary” e “In Situ”, e lineari indie rock dagli accattivanti coretti “If We Get Caught”. In un modo del tutto inaspettato, poi, l'album si chiude con la ballata "The Peace Offering", i cui malinconici arpeggi di chitarra risuonano come attraverso lo spazio, i testi sono declamati, creando un inquietante senso di intimità, prima di un intenso slancio finale.
Dopo diversi ascolti, Alpha Games restituisce nitida l’immagine di un gruppo che per troppo tempo è rimasta sfocata, legata indissolubilmente al loro inarrivabile esordio e a una serie di dischi successivi che ne avevano offuscato la fama, relegandoli allo status di eterni incompiuti. Senza rinnegare il passato, anzi recuperandolo e dandogli nuovo forma, i Bloc Party dimostrano di essere ancora in grado di scrivere accattivanti canzoni indie di tre minuti, creando una visione d’insieme, quella che mancava da tempo, variegata nella forma e nella sostanza, fregandosene delle mode del momento, ma restituendo all’ascoltatore il meglio della loro ispirazione. Non un disco imperdibile, ma sicuramente un buon trampolino di lancio per una seconda parte di carriera.