Il film d'esordio della cineasta coreana Hong Sun-eun, come già sotteso nel plurale del titolo, parte dal personale per allargare il discorso a una condizione collettiva che nei paesi asiatici è sempre più diffusa: parliamo della tendenza all'isolamento, all'alienazione solitaria che caratterizza la vita di molti giovani. In Corea del Sud è stato anche coniato un vocabolo, honjok, che identifica persone che in maniera volontaria decidono di intraprendere tutta una serie di attività in totale solitudine.
Se questa definizione e questa tendenza possono indicare anche scelte consapevoli e ponderate fatte da giovani che rifuggono l'imposizione di una vita da condursi per forza di cose in termini di socialità e confronto con l'altro, nel film di Hong Sun-eun l'isolamento pressoché totale della protagonista, fatto salvo l'obbligo di interazione sociale (ridotto ai minimi termini) a cui è obbligata per lavoro, trova le sue radici in una società produttiva, del capitale, che non è basata sicuramente sul contatto umano ma su fredde statistiche, impersonali performance, contatti svuotati da ogni logica solidale e di soddisfazione personale.
Quale che sia il motivo reale e più profondo di quello che assume tutte le caratteristiche di un disagio, lo spettatore è chiamato dalla regista a seguirne lo sviluppo tramite l'esistenza della giovane Jina, una brava Gong Seung-yeon che approda al lungometraggio dopo una discreta serie di ruoli per la televisione.
Jina (Gong Seung-yeon) lavora in un call center dove si occupa del servizio clienti di un'azienda che gestisce carte di credito. Jina è la miglior dipendente del call center: professionale, distaccata, riesce a gestire ogni lamentela dei clienti con cortesia e lucidità senza mai farsi toccare dai problemi degli stessi, nemmeno da quelli più strambi, come l'utente abituale che con ciclicità chiama per sapere se in occasione del suo imminente viaggio nel tempo la carta, nel passato o nel futuro, continuerà a funzionare.
Finito il suo turno Jina stacca e va a pranzo da sola, torna a casa da sola, non vede nessuno, non dà confidenza a nessuno e cerca di evitare ogni tipo di interazione con gli altri, siano questi uomini o donne non fa alcuna differenza.
A pranzo Jina guarda degli show sul suo telefonino, stessa cosa quando è sul bus, una volta a casa invece c'è la televisione. Ogni giorno la stessa routine. La sera, quando torna a casa da lavoro, le capita di incontrare il suo vicino che immancabilmente le rivolge la parola, Jina per lo più lo ignora.
A sconquassare la sua abitudine quotidiana arrivano tre eventi di un certo peso: la morte della madre malata, che Jina accoglie con una certa freddezza, con conseguente notizia di un'esclusione totale dall'eredità della genitrice, la morte del vicino di casa, trovato nel suo appartamento schiacciato da una montagna di dvd e riviste pornografiche e l'arrivo di una nuova impiegata, la giovane e ciarliera Sujin (Jeong Da-eun) che l'azienda le impone di istruire causando a Jina un forte disagio emotivo.
Per raccontarci la storia di Jina la regista Hong Sun-eung sceglie molte inquadrature ravvicinate, frontali sul volto della ragazza quando è a lavoro, a stretto contatto in altre occasioni, una scelta di stile che sottolinea lo stato di solitudine della protagonista inserita in un ambiente di lavoro impersonale capace di gratificare le persone solo in base a freddi dati. Più in generale il discorso si amplia a quella che è proprio una tendenza dei giovani in Corea del Sud, un isolamento anaffettivo, privo di emozioni che qui viene a poco a poco scosso da tre eventi che aprono delle possibilità di scalfittura nella corazza della protagonista.
Inspiegabilmente delle tre non sembra essere la morte della madre quella più significativa se non di riflesso nel ritrovato, e forzato, rapporto con il padre (Park Jeong-hak) che Jina spia tramite una telecamera nascosta in casa. Una scossa arriva invece dalla presa di coscienza della protagonista di non essersi accorta della morte e della sparizione del suo vicino di casa, squarci grotteschi si aprono nella narrazione della regista, la morte surreale del giovane ragazzo ne è un esempio, altro segnale di disagio e solitudine seppur caricato fino all'assurdo.
Poi c'è l'esuberanza di Sujin, una ragazza un po' invadente ma genuina e sincera, che verrà trattata in maniera molto fredda da Jina creando poi nella stessa una sensazione di senso di colpa nel momento in cui la ragazza prenderà un'altra strada. Si chiude con una nota di speranza, Hong Sun-eung mostra come anche nella solitudine si possa penetrare, con un lavoro su se stessi, con delle prese di coscienza e anche con aiuti esterni, nel film il nuovo vicino di casa e il suo approccio con la morte del precedente inquilino.
Ottimo esordio che senza forzature affronta un importante argomento di attualità, in maniera piana ma con la capacità di regalare alcuni momenti di profonda riflessione e commozione, troviamo, con enorme piacere, in Hong Sun-eung un'altra regista asiatica da tenere d'occhio con vivo interesse.