Mi trovo davanti al nuovo album di Jessica Lauren, “Almeria”, e il mio approccio è quello di un bambino davanti ad un sacchetto di patatine fritte al formaggio, un bambino particolare e particolarmente goloso: quel marmocchio non si avventerà sulle patatine addentandole, no. Prima le leccherà voluttuosamente, poi una volta esauritosi il gusto chimico del formaggio le mangerà facendole scomparire nel cavo faringeo per poi farle depositare dolcemente nello stomaco.
Ecco, l’ascolto delle nove tracce di “Almeria” hanno prodotto in me lo stesso effetto.
Pianista di stanza a Londra, la Lauren è conosciuta e apprezzata nell’ambiente jazz imbastardito dal groove già dai primi anni 90, per aver collaborato con artisti quali Jean Carne, Dexter Wansel, James Mason e i giapponesi UFO.
Il jazz della Lauren non è quello paludato da Accademia, ma gira il mondo e si ciba degli umori del sud della terra, fresco come un succo di frutta all’anguria e melone, leggero e accessibile, pronto per l’estate che dovrà prima o poi arrivare. Il tocco minimalista del piano della Lauren è accompagnato da un groove costante grazie alle percussioni di Richard Olátúndé Baker, Philip Harper e dal batterista Cosimo Keita Kadore, il basso di Neville Malcoms tiene tutti in riga ed è preciso ed essenziale nel suo tocco, mentre il suono tagliente del sax baritono di Tamar ‘Collucotor’ Osborne ci porta in territori africani, sublimati nel pezzo di apertura “Kofi Nomad” e nella bella “Simba Jike”, quest’ultima con alla voce la stessa Lauren; ma è un’Africa vista attraverso gli occhi di un occidentale, mai oleografica o turistica però, ma contaminata dalle colonne sonore di innumerevoli pellicole in cui musicisti come Trovajoli e Ortolani trovarono terreno fertile per riscrivere un’immaginario che fino ad allora era rimasto fermo al bozzetto in stile zio Tom.
Nel giro del mondo di “Almeria” non poteva mancare il Brasile e la bossa, ma anche in questo caso è alla bossa come l’abbiamo re-inventata noi italiani che dobbiamo guardare, “Amalfi” e “Bejia Flor” sono sublimati in tale senso: la prima è come far parte di una scena con protagonista un Mastroianni mai così altero ed elegante che si aggira per le vie di Capri, nella seconda ci troviamo dentro a “Il Sorpasso” di Dino Risi, ma ben certi che questa volta la Lancia Aurelia B24 non si schianterà sulle scogliere di Calafuria, ma proseguirà incolume la sua lunga corsa lungo la Via Aurelia fino ad arrivare a Viareggio.
Dall’Africa al Brasile passando per l’Italia fino ad arrivare in Argentina, come il titolo che chiude l’album, un brano struggente con una melodia malinconica come sa essere quella terra quando si esprime con il linguaggio del tango.
In conclusione un bel viaggio quello di Jessica Lauren e di “Almeria”, da farsi rigorosamente accompagnati da una fotocamera a pellicola, come quella ritratta sulla copertina del disco, da cui poter catturare con tutta la calma necessaria momenti ed impressioni che solo un occhio curioso sa cogliere.