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REVIEWSLE RECENSIONI
Alive And Well In Ohio
Buffalo Killers
2017  (Alive Naturalsound Records)
PSICHEDELIA ROCK
7/10
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05/11/2017
Buffalo Killers
Alive And Well In Ohio
Alive And Well In Ohio non è solo l’ottavo disco della band, ma anche, non me ne vogliano i fans della prima ora, il suo migliore: il suono è più organico, meno furente, certo, ma decisamente più equilibrato in tutte le sue componenti

Band a conduzione famigliare (i fratelli Andrew e Zachary Gabbard, rispettivamente chitarrista e cantante, il primo, bassista, il secondo, a cui si aggiunge il batterista Joseph Sebaali), i Buffalo Killers, pur non avendo molto seguito dalle nostre parti, hanno alle spalle più di dieci anni di carriera e ben sette dischi pubblicati a partire dal 2006. Originaria di Cincinnati, Ohio, la band si è distinta per una carriera all’insegna di un suono ruvido, compatto e, oserei dire, pressoché immutabile che, con approccio lo-fi e inclinazione jammistica, ha incorporato nel tempo richiami a un certo power rock anni ’60 e ’70 (Blue Cheer, Cream, etc), inclinazioni fortemente psichedeliche, dinamismo swamp e, soprattutto, afrori sudisti. Tanto che, non è certo un caso, nel tempo la band è stata spesso paragonata a una versione grezza dei Black Crowes o dei Black Keys, il cui leader, Dan Auerbach, ha messo peraltro mano alla produzione del loro secondo disco, Let It Ride (2008). Registrato presso il loro Howler Hills Farm Analog Studio e mixato e masterizzato da Mike Montgomery, Alive And Well In Ohio non è solo l’ottavo disco della band, ma anche, non me ne vogliano i fans della prima ora, il suo migliore: il suono è più organico, meno furente, certo, ma decisamente più equilibrato in tutte le sue componenti. Che, nello specifico, vedono prevalere la melodia e la psichedelia su spunti jammistici e riff abrasivi. Un disco coeso, dunque, in cui il consueto rock muscolare trova un perfetto bilanciamento con i groove blues alla Black Keys, il southern boogie, gli echi di un passato antico e, soprattutto, come si diceva, ganci melodici e psichedelici di beatlesiana memoria. Un suono, questo, immediatamente riconoscibile nell’opener Death Magic Cookie, nella successiva What A Waste, che pare evocare i Soundgarden alle prese con il repertorio dei Fab Four, e ancor di più in Eastern Tiger, due minuti e mezzo elettro-acustici di divagazione psichedelica. Se Need A Changin’ paga pegno ai Cream e Out Of This Hotel è una cavalcata elettrica frickettona e dimessa, Evil Thoughts, dagli sfumati contorni lisergici, si conquista la piazza di miglior canzone del lotto con una melodia irresistibile e un arrangiamento di coretti e controcanti goduriosissimo. Chiude Black Halo, forse la canzone che meglio testimonia la maturità di una band che ha saputo finalmente trovale la misura e contemperare potenza grezza, arrangiamenti più complessi e intriganti e contenuti armonici di facile presa. Bel disco.