È indubbiamente l'anno di Margaret Atwood.
Scrittrice canadese, classe 1939, studiata nelle scuole, sta riscoprendo una nuova giovinezza e soprattutto raggiungendo la fama internazionale grazie al piccolo schermo.
Prima con quel capolavoro - l'ho detto? sì, l'ho detto - di The Handmaid's Tale, ora con Alias Grace.
Sempre una donna protagonista, sempre una donna non fortunata, vessata, studiata e osservata, e pure questa volta una donna forte, determinata, intelligente.
Grace è però, prima di tutti questi aggettivi, un'assassina.
O perlomeno una donna condannata in giovanissima età per due omicidi e che ora, nel Canada del 1840, sconta l'ergastolo.
Ora, dopo anni di manicomio e di prigione, la grazia vuole essere chiesta, e il Dottor Simon Jordan è chiamato a studiarla, ascoltarla, valutarla.
È pazza, Grace, incapace di intendere e di volere al momento dell'omicidio? Soggiogata dal fascino e dalla forza dello stalliere McDermott, già condannato all'impiccagione? O è scaltra, furba, capace di evitare trappole, di proclamare la sua innocenza per uscire all'aria aperta?
Per saperlo, dobbiamo prima ascoltare la sua storia.
Una storia che parte dall'acqua e che all'acqua ritornerà, una storia costellata di morti, di superstizioni e che, grazie al lavoro di domestica che Grace compie con devozione e fatica, ci mostra la dura realtà di un'epoca di divisioni sociali, di scandali, da evitare o inevitabili.
Un mondo non certo nuovo quello che ci viene mostrato - visti i costumi, gli anni e il lavoro umile, il pensiero va immediatamente alla parte bassa di Downton Abbey - ma è la narrazione dalla voce della stessa Grace, che scrive a quel dottore, che a lui racconta, omettendo, forse, nascondendo parti e inventandone altre, chissà, la sua vita, a fare la differenza, a dare ritmo, intrigo e appeal alla storia.
E la penna di Sarah Polley, che adatta e plasma, si sente, sopra quella ironica e comunque politica della Atwood. Non si può che essere catturati da una voce così seducente, da un racconto di cui sì, già si conosce il finale, ma che invita a dubitare, a fremere, a sapere di più.
In questo aiuta la bellezza senza filtri di Sarah Gadon, perfetta pure nella voce, impostatissima, e contorniata da comprimari di qualità come Edward Holcroft, Zachary Levi, Anna Paquin.
Non sarà d'impatto e attuale come The Handmaid's Tale, ma Alias Grace ha una sua forza, una sua indipendenza, che travalica il costume, che ha quella spruzzata di femminismo contemporaneo, e che soprattutto avvince, dall'inizio alla fine di questa parabola.