Cerca

logo
REVIEWSLE RECENSIONI
03/04/2018
Brad Mehldau
After Bach
Il musicista statunitense alterna l’esecuzione di composizioni e scomposizioni di Bach, offrendo una rilettura originale di un classico e al contempo un’accezione inconsueta del jazz contemporaneo.

Le incursioni del jazz nella musica di Johann Sebastian Bach (e sarebbe bello poter dire viceversa, se solo ne avessimo le prove registrate) sono vecchie quanto il jazz stesso e chiunque ami il jazz può raccontarvi le sue esperienze e di quando ne ha trovato tracce nelle improvvisazioni del suo jazzista preferito. Io ero rimasto al solo di piano di Nina Simone nel take (poi pubblicato) di “Love me or leave me” del 1958 e nei cinque volumi della collana “Play Bach” di Jacques Loussier e del suo trio. Da oggi la lista si allunga con l’elegante “After Bach” di Brad Mehldau, un’intensa conversazione tra il pianista statunitense e il compositore tedesco articolata lungo una serie di botta e risposta tra spunti tratti dalla raccolta “Il clavicembalo ben temperato” e improvvisazione sui temi.

Definire jazz lo stile di Mehldau è riduttivo - siete liberi di dare a piacimento un’accezione positiva o negativa a questa affermazione - e anche quest’ultimo lavoro riflette la vastità della sua ispirazione e del suo modo di intendere la musica. L’aspetto che distingue l’arte di Mehldau è proprio l’eterogeneità del suo background che si traduce in musica. Mehldau ha dimostrato di cavarsela alla grande traendo il meglio da diversi generi, tanto da risultare equidistante tra Bill Evans e i Radiohead, per dire. In questa gamma così vasta la musica classica trova spazio in abbondanza. In una recente intervista su “Musica Jazz”, Brad Mehldau sostiene di aver suonato Bach per molti anni per la sua crescita e il suo piacere. “Suonare la musica di Bach è come andare in chiesa”, dice Mehldau, “risolvere un problema di matematica e fare l’amore tutto in una sola volta. La sua musica agisce sul nostro spirito, fa maturare la mente e risveglia i sensi. Volevo trovare un modo per esprimere ciò che Bach mi ha dato, e After Bach ne è il risultato”.

Questo approccio spiega la gestazione del disco che non suona come un adattamento dei canoni compositivi di Bach alle strutture armoniche del jazz, bensì una sorta di rivisitazione moderna, libera da vincoli filologici e rigidi ma guidata unicamente dalla personalità del pianista statunitense. L’album è la concretizzazione di un’opera realizzata originariamente da Mehldau nel 2015 e presentata in alcune prestigiose sale da concerto internazionali come la Carnegie Hall dal titolo “Three Pieces After Bach”. Una serie di spunti musicali di interconnessione tra le composizioni di Bach scelte, improvvisazioni pensate e suonate con l’obiettivo di dare vita a un vero e proprio concept album in cui ogni episodio del dopo-Bach va a comporre una trama di echi del brano da cui derivano, a completamento delle re-interpretazioni del compositore tedesco.

L’impressione che se ne trae è che il connubio con l’opera di Bach sia perfetto e che l’affinità del linguaggio sia merito della profonda sensibilità di Mehldau e del suo stile pianistico con il quale riesce nell’intento di approfondire, in modo originale, un tema classico così già ampiamente sviscerato, adattando perfettamente il caratteristico rincorrersi delle voci multiple e il loro intrecciarsi al modo in cui Mehldau stesso intende il suo jazz.

A parte l’introduttiva “Before Bach: Benediction” e il solenne epilogo di “Prayer for Healing", in cui il barocco tedesco sembra quasi lasciare spazio al simbolismo di due secoli dopo con l’intento di avvicinare ulteriormente la storia della musica, le tracce di “After Bach” suonano come remix per piano solo degli spunti dell’opera per clavicembalo di Bach, veri e propri spin-off armonici tutt’altro che speculativi, indagini sull’essenza delle composizioni di una delle più importanti figure di riferimento dell’arte di tutti i tempi, alla base degli studi stessi di ogni musicista moderno e, probabilmente, di Mehldau stesso.

Il fascino pianistico di Brad Mehldau è fuori discussione e “After Bach” risulta la conferma della facilità con cui il musicista americano riesca a porsi trasversalmente nel panorama jazzistico contemporaneo. Mehldau è senza dubbio un innovatore anche quando prende come spunto la musica classica più addomesticata, e in quest’ultimo lavoro il suo intento di omaggiare Bach personalizzandone l’anima artistica è pienamente riuscito.