La fama di Tomaso Albinoni, compositore e violinista veneziano vissuto a cavallo tra la seconda metà del XVII° secolo e la prima metà del XVIII° secolo, è legata indissolubilmente al celeberrimo adagio in sol minore. Non tutti sanno però che quel brano, che tante volte abbiamo ascoltato in televisione e che è stato inserito nella colonna sonora di numerosi film di successo, non fu in realtà composto da Albinoni.
Costui era un personaggio davvero singolare, lontano anni luce dai clichè e dalle convenzioni del mondo in cui viveva. Nonostante fosse un valente violinista e un brillante compositore, Albinoni amava definirsi, non senza un pizzico di autoironia, “musico di violino, dilettante veneto”; invece di cercare la fama e i facili guadagni con la propria arte, disdegnava di esibirsi in pubblico, componeva solo per diletto (scrisse musica sacra, cantate, musica teatrale -circa cinquanta opere- e strumentale) e, per un innata propensione all’autonomia intellettuale, a differenza di quasi tutti i colleghi dell’epoca, si teneva alla larga dai mecenati, che pagavano profumatamente, ma imponevano i temi delle composizioni.
Molti dei suoi lavori andarono irrimediabilmente perduti durante la seconda guerra mondiale, a causa della distruzione della Libreria di Stato di Dresda, unica biblioteca a possedere partiture autografe albinoniane. Ed è proprio da questo evento che inizia l’arcano relativo al famoso adagio. In quegli anni, c’è un noto musicologo romano, Remo Giazotto, che acquista meriti accademici studiando e catalogando la musica barocca, con particolare riferimento all’opera di Albinoni.
Costui dichiarò di essersi imbattuto in una serie di frammenti di composizione del musicista veneziano, ritrovati proprio tra le macerie della biblioteca di Stato di Dresda, in base ai quali sarebbe riuscito a ricostruire un movimento lento di sonata (o di concerto) in sol minore, per archi e organo: il famoso adagio di Albinoni, appunto. In realtà, qualche tempo dopo, e per l’esattezza nel 1998, anno della morte del “fantasioso” musicologo, si scoprì che l’adagio di Albinoni altro non è che una composizione originale dello stesso Giazotto, dal momento che nessun frammento o registrazione è stato mai trovato in possesso della Biblioteca Nazionale Sassone.
Come abbia fatto Giazotto (peraltro accusato poi di aver manipolato anche partiture vivaldiane) a convincere per circa quarant’anni il mondo accademico della autenticità dell’adagio, resta un mistero. Di certo, quello perpetrato dal musicologo (e, a questo punto direi anche musicista, romano) risulta uno dei più clamorosi falsi della storia della cultura italiana (al pari, credo, delle teste di Modigliani falsificate da quattro buontemponi livornesi).
Ciò che appare indubitabile è che l’adagio è una musica bellissima, così struggente nel suo andamento malinconico, da aver rapito i cuori di milioni di ascoltatori e da aver acquisito una fama ben più vasta di quella che ebbe il suo presunto autore; tanto coinvolgente ed emozionante da essere stata inserita nella colonna sonora di svariati film (Gli Anni Spezzati di Peter Weir su tutti), da essere stata utilizzata o reinterpretata da molti musicisti rock (i Doors nell’album An American Player del 1978), e da aver accompagnato eventi ufficiali, quali i funerali di Enrico Berlinguer nel 1984 e Margareth Thatcher nel 2013. Una meraviglia, insomma, con cui Albinoni, pur non avendo meriti, è riuscito a scrivere il proprio nome nell’immaginario collettivo dell’umanità.