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REVIEWSLE RECENSIONI
Absolute Elsewhere
Blood Incantation
2024  (Century Media )
IL DISCO DELLA SETTIMANA PROGRESSIVE METAL / HARD ROCK
9,5/10
all REVIEWS
21/10/2024
Blood Incantation
Absolute Elsewhere
Con i Blood Incantation siamo al cospetto di una band dalla statura gigantesca, una delle realtà di death metal progressive più belle degli ultimi decenni. Il nuovo Absolute Elsewhere, dal punto di vista della pura qualità compositiva, potrebbe rappresentare per loro il disco della consacrazione.

Che le contaminazioni siano uno dei modi privilegiati per dare nuova linfa alla musica, non è una novità. Al di là dell’eclettismo e della sperimentazione, la fusione di più generi musicali e l’assenza di barriere precostituite hanno in qualunque epoca rappresentato il modo migliore per evitare il manierismo e la pedissequa ripetizione di schemi collaudati.

Oggi che tutto è stato detto, scritto e suonato, l’originalità e la sperimentazione rischiano di apparire anch’esse standardizzate e codificate, sono divenute un genere a se stante e non fanno più notizia. Per i Blood Incantation il discorso è lo stesso. La band di Denver, Colorado, è attiva dal 2011 e si muove in quell’ambito estremo che, da più di trent’anni, è divenuto forse la palestra più attiva in campo di apertura, ibridazione e collage improbabili. In parole piovere, non sono affatto originali, chi li lodasse per questo darebbe più che altro la sensazione di essere un neofita dell’ambiente.

 

Detto questo, siamo al cospetto di una band dalla statura gigantesca, una delle realtà musicali più belle degli ultimi decenni e lo dico senza esagerare. Avete presente i Motorpsycho, immagino. Ecco, i Blood Incantation, a mio parere, stanno facendo quello che il trio norvegese faceva alla metà degli anni Novanta: utilizzava elementi a lungo collaudati ma sbaragliava le carte con personalità e inventiva, assurgendo in poco tempo ad uno status di culto che sembra molto simile a quello che sta caratterizzando in questi tempi il quartetto statunitense. Oppure potremmo scomodare anche gli Ulver, sebbene loro, più che sintetizzare influenze variegate, si siano mossi soprattutto in territori di volta in volta diversi.

Absolute Elsewhere, dal punto di vista della pura qualità compositiva, potrebbe rappresentare per loro il disco della consacrazione, quello che potrebbe essere in grado di far crescere esponenzialmente un già ben nutrito bacino di pubblico. Il titolo, particolare curioso, riprende il monicker di un progetto in cui erano coinvolti, tra gli altri, Paul Fishman e Bill Bruford (conosciuto per il suo lavoro nei King Crimson e negli Yes ma attivo soprattutto in ambito Jazz,  da solista e con gli Earthworks) e che produsse un solo album, In Search of Ancient Gods, uscito nel 1976.

Non credo sia stata una scelta casuale: il nuovo lavoro di Paul Riedl e compagni è sì una perfetta summa di quanto realizzato in precedenza, ma è anche il capitolo della loro discografia che più di tutti flirta con il Progressive Rock. Le dimensioni, innanzitutto: due lunghe suite da venti minuti abbondanti, suddivise ciascuna in tre distinti movimenti, che amplificano di fatto la già spiccata tendenza alla dilatazione dei nostri. All’interno, poi, si applica ancora una volta la strategia di innestare sul Death Metal di partenza (tutta roba di scuola americana, Morbid Angel su tutti, e dall’altissimo tasso tecnico) divagazioni eterogenee che spaziano dal Prog, alla Psichedelia, allo Space Rock, mantenendo allo stesso tempo la coesione e l’omogeneità dell’insieme.

 

La prima composizione, “The Stargate”, è quella più classicamente eterogenea, con le sfuriate ritmiche delle battute iniziali che lasciano il posto in maniera graduale a divagazioni di stampo pinkfloydiano, ed un secondo movimento che vede addirittura l’ospitata dei Tangerine Dream e che di conseguenza apre spazi a derive Psych all’insegna dei sintetizzatori. Si tratta dell’episodio più esplicitamente fantasioso e quello per cui sarà più facile gridare al miracolo, ma allo stesso tempo si configura anche come il più prevedibile.

Decisamente meglio “The Message”, più estrema nell’impostazione di fondo, ma dove i vari cambi d’intenzione avvengono in maniera più fluida e continua, non semplicemente tramite la sovrapposizione di elementi compositivi differenti. Ideale continuazione della lunga “Awakening from the Dream of Existence to the Multidimensional Nature of Our Reality”, che era il pezzo forte dell’acclamato Hidden History of the Human Race, questa nuova suite dimostra buona conoscenza delle fonti (c’è pure una parte in clean vocals dal sapore settantiano che ricorda molto gli Edge of Sanity di Crimson, ma anche gli Opeth dell’ultimo periodo) ed una notevole fantasia a livello di elaborazione, ad oggi siamo con tutta probabilità davanti al punto più alto mai raggiunto dal gruppo.

 

Per nulla originali, i Blood Incantation danno comunque una prova concreta del lungo cammino evolutivo compiuto dal Death Metal e in generale dalla musica estrema in questi ultimi decenni. Sarà molto difficile che questo nuovo lavoro possa piacere a chi non ha dimestichezza con questo tipo di sonorità (per intenderci, è comunque un disco Death con influenze Prog, non il contrario) ma se non altro mette le cose in chiaro sul fatto che anche da queste parti esiste musica colta (lo sapevamo già ma fa sempre bene ribadirlo).

Per quanto mi riguarda, è già tra i miei dischi dell’anno: nel loro ambito, al momento, non hanno davvero uguali.