Gli ultimi sei anni di carriera per l’ex Beta Band, Steve Mason, hanno alternato alti e bassi, iniziati nel 2013 con Monkey Minds In The Devil’s Time, disco ricco, denso e barricadero, a cui è seguito Meet The Humans (2016), al contrario, un episodio sciapo, atrofizzato e totalmente privo di mordente. Un album, questo, che non aveva lasciato certo una buona impressione, tanto da far insorgere il sospetto che l’ispirazione di un tempo avesse lasciato il posto al mestiere di un professionista della musica, pronto a tirare a campare in un abito grigio e consunto.
Oggi, con questo nuovo About The Light, si può dire che quel timore si era manifestato un po' troppo frettolosamente e che il buon Mason abbia ritrovato la penna dei giorni migliori. Titolo e copertina sembrano messi lì a proposito per celebrare una piccola rinascita: la luce è stata riaccesa, tornano i colori e, soprattutto, quelle canzoni, ben rappresentate dalla divertita sfrontatezza dei quattro ragazzi immortalati sulla cover.
Strano a dirsi, per un artista che ha abbondantemente superato la quarantina, ma questo, al netto del catalogo Beta Band, è di certo il suo disco più adulto e maturo, e la consapevolezza di tutto quel bagaglio artistico acquisito nel tempo, gli permette di spaziare tra generi, con ardito giovanilismo, rimanendo comunque credibile ed efficacissimo.
Sono molti gli high lights in questa raccolta di canzoni vibrante, a tratti persino muscolare, sempre divertita e divertente, in cui si incrociano pop, rock, funky e un pizzico di elettronica, senza che la scaletta perda, comunque, di omogeneità.
La botta arriva subito con America Is Your Boyfriend, canzone stratificata, gonfia di ottoni e benedetta da poche ma precise pennellate di slide, a simboleggiare un connubio indissolubile fra la musica che si specchia da un capo all’altro dell’Oceano. Tira alla grande anche il beat di No Clue, che si apre alla melodia sul tiro incrociato di chitarre dal sapore smithsiano (e non è un caso che a produrre ci sia Stephen Street), mentre la title track si propone sorniona attraverso un ritornello icastico che fa presa in men che non si dica.
E’ la seconda parte del disco, però a racchiudere i momenti migliori, grazie alle movenze sinuose di Fox On The Rooftop, che disperde echi pinkfloydiani nel cuore di una notte stellata, al funky di Stars Around My Heart, distillato melodico alla XTC, e al riff nervoso della strabiliante Walking Away From Love, viaggio a ritroso nella California di fine anni ’60, che stende con un ritornello pazzesco e spariglia le carte con un breve ma succoso ponte verniciato di soul.
Chiude The End, bigiotteria brit pop tirata a lucido per l’occasione, sugellando un disco che, anche nei pochissimi momenti non eccelsi (il rock martellante e monocorde di Spanish Brigade), mette in luce una grinta rinnovata e l’spirazione di chi, non solo ha ancora qualcosa da dire, ma è tornato a dirla con eloquio fluente e, soprattutto, convincente.