Nata a San Francisco nel 1916 Shirley Jackson non ha avuto una vita felice né tantomeno facile né lunga, la scrittrice infatti ci lascia quando ancora doveva compiere quarantanove anni a causa di un'insufficienza cardiaca manifestatasi nel sonno. Il nome della Jackson viene spesso legato alla tradizione del romanzo gotico, non a torto, soprattutto in virtù della scrittura del romanzo L'incubo di Hill House a detta di molti uno dei romanzi più importanti in assoluto sul tema dei fantasmi.
Anche in questo Abbiamo sempre vissuto nel castello, pur non essendoci riferimenti diretti a eventi sovrannaturali o a presenze spettrali, l'angoscia che sottotraccia si impadronisce pian piano del lettore e l'inquietudine dovuta a fatti parzialmente taciuti portano ad accostare anche questa ultima opera della Jackson all'affascinante filone del gotico di matrice anglosassone.
Ciò che più colpisce di questo breve romanzo è la sensazione di atemporalità di cui le pagine della Jackson sono pervase: se alcuni elementi della narrazione ci lasciano capire che il dipanarsi degli eventi non può svolgersi in un'epoca troppo distante da quella contemporanea la data di pubblicazione (il libro fu edito in prima battuta nel 1962), lo stile di vita delle protagoniste del racconto e soprattutto lo stile di scrittura della Jackson (adattato dalla traduttrice Monica Pareschi) riportano facilmente la mente del lettore alla letteratura di fine Ottocento o comunque a un periodo decisamente precedente gli anni di pubblicazione del libro o di quelli in cui si svolgono i fatti. Fatti non tutti limpidi fin da subito...
"Mi chiamo Mary Katherine Blackwood. Ho diciott'anni e vivo con mia sorella Constance. Ho sempre pensato che con un pizzico di fortuna potevo nascere lupo mannaro, perché ho il medio e l'anulare della stessa lunghezza, ma mi sono dovuta accontentare. Detesto lavarmi, e i cani, e il rumore. Le mie passioni sono mia sorella Constance, Riccardo Cuor di Leone e l'Amanita phalloides, il fungo mortale. Gli altri membri della famiglia sono tutti morti".
È questo l'incipit di Abbiamo sempre vissuto nel castello, una dichiarazione con la quale la protagonista principale del romanzo, Katherine Blackwood detta Merrycat, si presenta ai lettori.
Come la ragazza afferma gli altri membri della famiglia sono tutti morti a causa di un evento legato al passato delle due sorelle. In realtà questa affermazione non è del tutto vera, nella magione di famiglia infatti con Merrycat e Constance vivono anche lo zio Julian, un anziano costretto in sedia a rotelle e non sempre presente a sé stesso, e il gatto Jonas. Gli altri sono davvero tutti morti.
Constance, più grande di Merrycat, vive reclusa in casa, non ha contatti con l'esterno, è appassionata di cucina e bada alla sorella e allo zio con zelo e affetto sincero; è Merrycat a dover andare in paese una volta alla settimana per far provviste e comprare il necessario.
Merrycat non ama scendere in paese e soprattutto non ama incontrare altra gente, gente sempre pronta a giudicare (male) lei e tutta la stirpe dei Blackwood come se un odio atavico aleggiasse sul nome della famiglia, un odio probabilmente legato ai fatti di qualche tempo prima. Sono poche le persone e le famiglie che ancora hanno qualche contatto con le due sorelle e con lo zio Julian, qualche vecchio amico dei signori Blackwood, qualche signorina curiosa di dare un'occhiata a casa Blackwood di tanto in tanto.
Poi un giorno si presenta alla porta il cugino Charles, desideroso di aiutare le maltrattate cugine e capace, poco alla volta, di modificare la visione di Constance sul mondo esterno e sul suo stesso modo di vivere, all'apparenza in maniera non del tutto disinteressata.
Nell'intero corso di questo breve romanzo striscia un sentimento di inquietudine che la Jackson è bravissima ad alimentare nella quotidianità della gestione di questa vita isolata da parte dei membri sopravvissuti della famiglia Blackwood. Non ci sono eventi fulminanti, orrori inspiegabili a minacciare la vita delle due sorelle, c'è però la cattiveria della gente del paese, il sospetto di ciò che è accaduto in passato che l'autrice cela nello svolgersi per gran parte del romanzo, c'è l'avvento di un elemento estraneo e destabilizzante (il cugino Charles) che scombina gli equilibri e in qualche modo incrina, almeno per qualche tempo, l'idillio tra le due sorelle.
Che qualcosa non giri proprio nel verso giusto è palese per il lettore, il personaggio di Merrycat ad esempio è descritto nei suoi comportamenti dalla Jackson non come una ragazza diciottenne bensì come una bambina ancora immatura, Constance d'altro canto è incapace di affrontare il mondo esterno, tristi caratteristiche, soprattutto quest'ultima, che richiamano le difficoltà che la Jackson ha patito realmente nella sua vita, mortificata da una madre incapace di dimostrarle amore e dai problemi di relazione con gli abitanti del paesino del Vermont in cui si trasferì a seguito di un matrimonio poi rivelatosi fallimentare, un'esperienza dalla quale potrebbe forse nascere la figura negativa del cugino Charles.
La Jackson trasferisce parte del suo vissuto tra le pagine di questo Abbiamo sempre vissuto nel castello rendendo il romanzo sempre vibrante e attraente, qualità che, insieme a una lunghezza non troppo estesa, rendono il libro una lettura piacevolissima e veloce.