La sorpresa di stasera è che sul fondo del locale è stata allestita una piccola postazione per far suonare i due gruppi in apertura. Credo dipenda dal fatto che gli headliner hanno riempito lo stage di roba e sistemare in uno spazio ristretto anche l’attrezzatura di altre band sarebbe risultato logisticamente complesso.
Poco male, perché la resa sonora anche in questa situazione improvvisata è ottima e il non ancora ingente afflusso del pubblico garantisce piena visibilità.
Si parte con gli o:odal, che prendono il loro nome dalla lingua tamil e vengono da Firenze. Gaia Burgalassi, Edoardo Martini, Fabio Sarti e Antonio Bacchi suonano un Synth Pop che mi ha ricordato abbastanza le cose dei Tersø, anche se la voce di Gaia è decisamente diversa e in generale le atmosfere sono a tratti piuttosto cupe e non mancano svolazzi strumentali interessanti, complice un uso della chitarra non troppo convenzionale visto il genere proposto. Suonano per una mezz’ora scarsa e propongono le canzoni del loro disco d’esordio, Due punti, uscito per Santeria lo scorso marzo (e che io mi ero inspiegabilmente perso nel mare magnum delle uscite). Sono contento di averli recuperati ora: dal vivo se la cavano egregiamente e il repertorio, pur senza sussulti, funziona bene.
A ruota ci sono i Leaf (scritto The Leaf, per la precisione) che invece giocano in casa e che hanno il secondo disco in corso di pubblicazione: l’idea, da quel che ho capito, è di far uscire un brano per volta, fino a raggiungere il numero di otto. Al momento ce ne sono fuori quattro e il pezzo di apertura, la spigolosa e anthemica “Alchemy”, uscirà a mezzanotte e viene scelta per aprire il set.
Se in studio la componente Alternative/Indie era messa maggiormente in evidenza, nella dimensione live mutano parecchio, con chitarre molto più aggressive ed un piglio decisamente più rock anni ’90, con Gloria Galeno che, pur tenendo il palco benissimo, carica un po’ troppo la voce, almeno secondo i miei gusti, contribuendo a creare un effetto bombastico in stile Virgin Radio che personalmente ho trovato fastidioso.
Detto questo, i cinque (oltre a Gloria ci sono Alessio Manni ed Eugenio Piscitelli alle chitarre, Riccardo Terrasi al basso e Luca Margherito alla batteria) se la cavano bene e, particolare niente affatto trascurabile, hanno dalla loro un repertorio di buon livello: Duplicity, Beings, del 2022, era già convincente (c’era dentro un singolo come “Blackness”, proposto anche stasera, dalle notevoli potenzialità), ma questi nuovi brani denotano un interessante salto di qualità. Le cose già uscite, in particolare “Black Magic” e “Voodoo”, evidenziano un allargamento dello spettro sonoro ed un uso più consapevole dei mezzi a disposizione. Molto bella anche l’inedita “Runic” (se ho capito bene il titolo) che uscirà tra un paio di mesi e che è tenuta su da un riff decisamente Metal.
Un quarto d’ora di pausa ed è il momento dell’Orchestra giocattolo. La band campana mancava da parecchio tempo: LUB DUB, l’ultimo lavoro in studio, è del 2018 ed erano in molti a temere che la loro avventura ventennale potesse essere giunta al capolinea. Invece, quando non ti aspetti più nulla, ecco Midnight Again, un ritorno pazzesco (per me dritto tra i migliori dischi dell’anno, ne ho parlato qui) che annulla le distanze temporali e ce li restituisce in uno stato di forma assolutamente non scontato per una band così longeva.
Si parte con una doppietta dal passato recente: “Wake Me Up” (inizio suggestivo con Enzo Moretto da solo al piano elettrico per la prima strofa) e “Welcome to Babylon”, ideali per scaldare l’ambiente e per innescare quel feeling a la Arcade Fire che avvolge la loro musica soprattutto dal vivo: sezione ritmica che spinge, melodia coinvolgente e atmosfera da gioiosa celebrazione.
Peccato solo per i suoni, che ho trovato parecchio impastati, e per i volumi veramente troppo alti per le dimensioni del locale, tanto che ho dovuto abbandonare presto le prime file e rifugiarmi nelle retrovie, dove la resa complessiva era decisamente migliore.
La sala peraltro è bella piena, si crepa di caldo ma c’è un pubblico affezionato e parecchio caloroso, si capisce che la lunga attesa ha pesato e che c’è tanta voglia di rivederli in azione. Anche la band lo percepisce e la sua contentezza di essere sul palco si riverbererà per tutta la sera, rendendo ancora più speciale un concerto già di per sé stupendo.
I brani del nuovo disco coprono quasi la metà del set (sette pezzi su sedici) ed è assolutamente giusto così: i singoli “Goodbye Day” (durante il quale vengono lanciati dei palloncini dal palco) e “Life Starts Tomorrow” sono marce gioiose e liberanti, che in sede live assumono un piglio ancora più trascinante, vicino per certi versi ai Broken Social Scene, mentre gli episodi più pacati e malinconici (“Miss U”, “Midnight Gospel”) in questa sede suonano ancora più intensi. Bellissima poi “Our Souls”, una delle più aggressive della serata, e menzione speciale per “Hallelujah” e “Take Me Home”, suonate una dopo l’altra verso la fine: ma quanto scrive bene questa band? Come è possibile riuscire a tornare dopo sei anni di assenza e tirare fuori due brani così?
Repertorio a parte, c’è anche da dire che i cinque (in alcuni momenti sono in sei, grazie alla presenza di un secondo chitarrista che non sono però riuscito ad identificare) suonano in maniera pazzesca, quasi da piccola orchestra, giocando tantissimo sul mix sezione ritmica/tastiere, scambiandosi spesso gli strumenti e variando l’assetto a seconda dei brani, in un lasciarsi andare e suonare alla morte tipico di gruppi come Belle and Sebastian e i già citati Arcade Fire.
Decisamente in palla il nuovo ingresso Mariagiulia Degli Amori, che affianca a tastiere e cori (a proposito, le armonie vocali in cui si producono sono davvero superlative) il membro fondatore Ilaria D’Angelis, anche lei più in forma che mai. Accanto ad un Enzo Moretto come sempre gran mattatore e maestro di cerimonie, nonché autore di una prova vocale maiuscola, c’è l’onnipresente Raffaele Benevento, motore ritmico inarrestabile assieme al batterista Alessandro Baris, decisamente sontuoso dietro le pelli, sia quando c’è da spingere sia quando è richiesto un downtempo ricco di feeling.
Col nuovo disco da presentare è comprensibile che ci sia poco spazio per il resto del repertorio, ma è ugualmente bellissimo quando arriva il classico “Invisible” (col ritornello cantato in coro dai presenti) o una “My Heroes Are All Dead” francamente inattesa (almeno dal sottoscritto); o ancora, una meravigliosa “Look in your Eyes” a chiudere il set regolare (anche qui, non esattamente il pezzo che ti aspetteresti da Midnight Talks), con un crescendo ed un’esplosione finale veramente da brividi.
I bis sono invece tutti all’insegna dei classici, con un poker strepitoso composto, in ordine, da “Midnight Revolution”, “Celentano”, “Powder on the Words” (piccolo problema tecnico che ne inficia leggermente il finale) e “Lub Dub”, quest’ultima autentico highlight della serata, con la prima parte soffusa e pianistica, la seconda che è un’autentica botta di energia, un’orchestra rumorosa ed un gioco di voci veramente esplosivo.
Chi, oggi, in Italia, suona come loro? Chi è in possesso di un repertorio di una tale qualità? Odio i luoghi comuni ma in questo caso non credo ci sia altro da dire: se questi fossero nati in un qualsiasi posto del mondo anglosassone, invece che ad Agropoli, sarebbero delle mega star. Perché davvero, senza esagerare, nessuno oggi è in grado di scrivere pezzi così, neppure band straniere di rock alternativo molto più blasonate.
Speriamo di riuscire a rivederli presto sui palchi perché al momento, oltre a queste prime date di presentazione, non è stato ufficializzato altro. Del resto, se la maggior parte del pubblico la smettesse di lamentarsi del fatto che i Pearl Jam non vengono in Italia e cominciasse ad andare a sentire gruppi come questo, magari cambierebbe qualcosa.