“Le promesse, seppur vaghe, rimangono per sempre scolpite nell’animo.”
Il merito di Murakami, infatti, è proprio quello di saper parlare in modo chiaro e diretto al cuore, alla pancia e alla testa di chi legge, attraverso l’uso di una scrittura che potremmo definire “minimalista”. Anzi, è proprio la sua scrittura “minimalista” che finisce con l’enfatizzare la profondità di pensiero che si cela dietro l’apparente semplicità delle sue storie.
Le parole usate da Murakami non sono mai poche e nemmeno troppe, nutrono senza mai riempire o soffocare. Lasciano l’immaginazione libera di muoversi all’interno di uno spazio che ciascuno di noi può colmare come meglio crede, con la fantasia o con la propria esperienza.
“A sud del confine, a ovest del sole” ci accompagna nella vita di Hajime, nato il 4 gennaio del 1951, “Nella prima settimana del primo mese del primo anno della seconda metà del ventesimo secolo”, ed è per questo che i suoi genitori gli hanno dato un nome che significa “inizio”.
Hajime è figlio unico, e a differenza di quanto accade oggi, essere figli unici era una circostanza molto rara negli anni immediatamente successivi alla fine del secondo conflitto mondiale, quando le famiglie tendevano ad essere molto più numerose.
Vive la sua condizione con disagio, perché essere figlio unico, a quei tempi, significava essere considerati da tutti come “viziati dai genitori, deboli e molto capricciosi”. Ma ciò che lo feriva realmente, era proprio la consapevolezza di corrispondere perfettamente a quella descrizione. Lui, infatti, si sentiva realmente viziato, debole e capriccioso.
Hajime è molto introverso e fa fatica ad instaurare rapporti di amicizia con i suoi coetanei, fino a quando, alle elementari, nella sua classe, non arriva Shimamoto. Anche lei è figlia unica e, a causa di una poliomielite contratta subito dopo la nascita, zoppica appena con la gamba sinistra.
Tra i due l’intesa è immediata, la loro amicizia si consolida sempre più e finiscono con il trascorrere insieme tutto il loro tempo, sia a scuola che fuori.
Ciò che Hajime amava di Shimamoto era il suo sorriso. Un sorriso meraviglioso, che aveva il potere di rasserenarlo, incoraggiarlo e fargli credere che tutto era possibile.
A entrambi piaceva leggere e ascoltare musica, e proprio la musica era un punto di unione fondamentale tra i due. Passavano i loro pomeriggi a casa di Shimamoto, ad ascoltare ossessivamente i pochi lp a disposizione: “Si sentiva in lontananza Nat King Cole cantare A sud del confine.”
Hajime ricorda e descrive nei minimi particolari quel piccolo rituale con cui la sua amica del cuore poggiava i dischi sul piatto. Gesti sempre uguali, pieni di amore, cura e attenzione: “Ogni volta mi veniva da pensare che, in realtà, non era un disco quello che aveva toccato, ma un fragile spirito racchiuso in una bottiglia di vetro.”
Ricorda l’intensità dei loro discorsi e quegli interrogativi comuni sul perché entrambi fossero figli unici, temendo che la risposta risiedesse nel fatto che tra i loro genitori non ci fosse amore a sufficienza per mettere al mondo un altro figlio; richiama alla mente le espressioni di lei, e il suo viso dotato di “una sensualità capace di strappare dolcemente, a una a una, le sottili membrane che avvolgono il cuore umano.”
Un rapporto importante, seppur lontano nel tempo, durato fino a quando Hajime non ha cambiato casa e si è trasferito in un’altra città. Per un po’ aveva continuato ad andare a trovare la sua amica, ma poi, di punto in bianco, aveva smesso: “Iniziai a diradare le mie visite e finimmo per non vederci più. Forse fu un errore. Dico forse perché, quando si analizza l’enorme mole di ricordi del passato, è difficile distinguere le decisioni giuste da quelle sbagliate… Avevo bisogno di lei e lei, forse, di me. Ma ero troppo orgoglioso e temevo di essere ferito.”
Ma il pensiero di lei e di quel rapporto così unico e speciale, nonostante gli anni che passano, è sempre presente. È come se lei, in qualche modo, continuasse a vivere costantemente in un angolo della sua mente.
Hajime alimenta i suoi rimorsi e i suoi rimpianti con tutte quelle domande a cui è impossibile trovare una risposta, perché, in fin dei conti, il passato e il presente sono le sole certezze che abbiamo, in quanto sono la somma delle nostre azioni e delle nostre inerzie, tutto il resto, vale a dire tutto quello che non abbiamo avuto il coraggio di vivere e affrontare fino in fondo quando era il suo momento, è destinato a rimanere per sempre sospeso, da qualche parte, dentro di noi.
“Per lungo tempo lasciai libero un angolino del mio cuore solo per lei, come in un ristorante in cui venga poggiato, senza che nessuno se ne accorga, un cartellino con su scritto “riservato” sul tavolo più tranquillo e in fondo al locale. Ma sapevo che non l’avrei mai più rivista.”
Hajime cresce, il suo corpo cambia, così come cambia il modo in cui lui se ne prende cura; comincia a sentire le prime pulsioni e a fare le prime esperienze con le donne. Si fidanza con Izumi, le vuole bene, ma dentro di sé, sente che non è la persona che sta cercando, non lo fa vibrare e così, nonostante l’affetto, finirà per spezzarle il cuore: “Gli esseri umani, a volte, sono destinati, per il solo fatto di esistere, a fare del male a qualcuno.”
Hajime si iscrive all’università, si laurea a fatica e si ritrova a vivere gli anni più difficili della sua vita, fatti di “amarezza, solitudine e silenzio”. Trova lavoro in una casa editrice, ma si sente soffocare.
All’età di 30 anni Hajime si sposa con Yukiko, dopo una frequentazione di circa tre mesi. Quel che provava per lei, probabilmente, non era proprio amore, ma tutte le volte che la stringeva a sé, sentiva emozioni e sensazioni che non provava da tempo.
Grazie a un prestito di suo suocero, che lo sprona ad abbandonare senza remore quel lavoro che sembrava avvilirlo ogni giorno di più, apre un jazz club e poi, dopo due anni, visto il successo del primo, ne apre un secondo. Ha due figli e riesce a costruirsi una posizione economica stabile che gli consente non solo di restituire l’intero prestito a suo suocero, ma anche di vivere una vita agiata.
Hajime sta vivendo una fase decisamente positiva della sua vita, dopo anni di disagio, inizia a sentirsi meno tormentato, come se fosse riuscito, finalmente, a trovare la sua strada e un certo equilibrio. Ed è proprio in questo momento che Shimamoto riappare nella sua vita: “Era un lunedì sera di inizio novembre e lei stava bevendo un daiquiri da sola, in silenzio, al bancone del mio secondo club, il Robin’s Nest.”
Eccolo qui l’imprevisto che porta scompiglio nella vita di Hajime; d’altronde, gli esseri umani, per loro natura, sono sempre in balia degli eventi, molti dei quali sono impossibili da prevedere e controllare. Siamo frangibili, feriamo e veniamo feriti, lasciamo e veniamo lasciati.
Ci sono incontri ed esperienze che ci segnano irrimediabilmente e che, lo vogliamo o meno, danno il via a nuove fasi della nostra esistenza, come fossero uno spartiacque necessario tra passato, presente e futuro.
Regole per la felicità non ce ne sono, però, vivere con azzardo, imparare ad ascoltarsi, ad assecondarsi e a non rinnegare la propria natura e i propri sentimenti, possono essere degli ottimi punti di partenza, così come il non rimandare a domani tutto quello che può essere fatto oggi.
Come finisce questa storia e che cosa c’è “A Sud del confine, a ovest del sole”, dovrete scoprirlo da soli, perdendovi tra le pagine di questo libro delicato e suggestivo, che sa regalare grandissime emozioni e offrire, allo stesso tempo, spunti di riflessione tutt’altro che banali sull’amore, sul dolore, sulle fragilità umane e sul senso più profondo dell’attesa.