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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
05/09/2017
Quattro film per talune riflessioni
A proposito di ragazzi italiani fra drughi, perdenti e paesaggi urbani negli scorsi anni settanta
A forgiare e salvare la gioventù italiana furono invece pellicole disomogenee: A Clockwork Orange, American Graffiti, Rocky e Taxi Driver. La prima ancora oggi considerata con qualche biasimo moralistico, la seconda reputata “leggera”, la terza liquidata come “americanata”, l’ultima probabilmente salvata dalla Palme d’or vinta a Cannes.
di Stefano Galli steg-speakerscorner.blogspot.com

Premessa esplicativa per questo breve e disordinato escursus negli ultimi Seventies svolto attraverso l’ottava arte[1].

A parte l’arbitrarietà di ogni scelta, che non intende proporre classifiche ma un criterio di analisi di passati modi di pensare e di esistere (più che modi di fare) in circostanze non semplici – anche per chi non aveva assilli economici –, il cinema e le sale cinematografiche sono un riferimento così datato da qualificarsi come una sorta di archeologia sociale prossima.

Altrimenti sembrano implausibili fattori (non più esistenti) come: film visibili in una sola versione, nessun materiale aggiuntivo, possibilità di vedere più volte un film senza pagare di nuovo il biglietto d’ingresso, comunque una sudditanza dello spettatore a scelte altrui nelle proiezioni che, però, erano ben più corrette e pluralistiche delle attuali[2].

Ciò posto, identifico quattro opere cinematografiche come importanti per i giovani (che allora non erano i quarantenni, come invece capita sempre più frequentemente di sentire e leggere oggi) di ormai quattro decenni fa.

Ci sono anche altri film di quegli anni, che mi hanno segnato indelebilmente (sono da aggiungere almeno: Les Enfants terribles e If....e Rebel Without a Cause, del resto tutti film che raccontano l’essere giovani), ma per motivi diversi non mi paiono, appunto, riferibili non solo a singoli ma ai più (pur essi una minoranza); li rammento per completezza: Il conformista, The Rocky Horror Picture Show (chi ridacchia evidentemente non sa cosa fu e significò Biba, quindi può passare ad  altro), Il portiere di notte (ben più di Cabaret di Bob Fosse che, per coloro privi di tendenze artistoidi, si deve considerare penalizzato dalla matrice prevalentemente musicale adottata dal regista, pur se quella connotazione “leggera” gli valse grande successo commerciale. Entrambe le due ultime opere cinematografiche citate, peraltro, con l’aggiunta di TRHPS, hanno contribuito ad educare quel following dei Sex Pistols che ormai è invalso chiamare The Bromley Contingent).

Dopo aver visto Apocalypse Now nessuno fu più uguale, ma siamo già ad un’epoca successiva: le decadi spesso non cominciano come da calendario. Inoltre, forse si tratta di un film dotato di una forza di cross-over generazionale non ancora del tutto esplorata.

A forgiare e salvare la gioventù italiana furono invece pellicole disomogenee: A Clockwork Orange, American Graffiti, Rocky e Taxi Driver. La prima ancora oggi considerata con qualche biasimo moralistico, la seconda reputata “leggera”, la terza liquidata come “americanata”, l’ultima probabilmente salvata dalla Palme d’or vinta a Cannes.

In una Italia raccontata sempre senza colori, dove non si dispone di niente, la cultura eterogenea anglosassone – che certo già aveva salvato la decade precedente – portata da queste opere cinematografiche consentì di ragionare, fantasticare, magari essere anche ingenui e iconoclasti, fra stili nell’abbigliamento (l’antagonismo politico-stilistico fra eskimo e Barrows non giovò), musiche passatiste e futuribili (in Gran Bretagna il glam-rock, in Italia niente; David Bowie, appunto, apre con Beethoven e Walter Carlos, da noi si boicottava Ivan Cattaneo anche qualche anno dopo...), scene muscolari[3] immerse in paesaggi urbani affascinanti per lo meno in quanto diversi e non alieni ai loro alienati abitanti[4].

Fra l’altro, tutti questi film segnavano una frattura con la generazione precedente: quella “cresciuta” con - o meglio “rifinita da”? - Easy Rider (posso dire con certezza che A Bout de souffle di Jean-Luc Godard quanto a seguito di spettatori in Italia non fu certo un film per giovani di “lunga durata”; in altri e più chiari termini, probabilmente gli anni sessanta da noi sono cominciati tardi, e quindi si sono dilatati nella decade successiva).

I migliori di noi spettatori più o meno reiterati di quei quattro film divennero “ribelli 77”; i peggiori seguirono molti anni dopo gli 883, che comunque erano più apprezzabili di tanti altri. I restanti erano inclassificabili, in quanto comunque non si misero in gioco, cioè non furono mai giovani.

In altri termini, noi siamo stati dei ragazzini perché c’erano quei film, non certo per indottrinamenti scoutistici e/o partitici (con tutte le loro inutili varianti, che ancora sopravvivono) che hanno pervaso quegli anni e che cercavano di inculcarci con ogni mezzo.

Noi abbiamo potuto fare delle stupidate, per fortuna, abbiamo potuto fantasticare (una necessità), abbiamo potuto essere giovani cioè diversi dal resto della società (che era quanto accadeva già da vent’anni agli altri teen-ager occidentali): tutti comportamenti non facili in Italia.

E allora? Nulla, soltanto un altro bozzetto, sicuramente molto sbavato, di un’epoca che sembra trascurata per quel che riguarda quanto si poneva fra “il pubblico e il privato”.

Incidentalmente: ho il 12’’ di un gruppo musicale (classificato hard-core punk e formatosi nel 1981 in Arizona) che in copertina si chiama JFA, ma in realtà erano le Jodie Foster’s Army, una provocazione riferita alle passioni dell’attentatore che cercò di uccidere Ronald Reagan e che furono strumentalizzate per qualche tentativo di demonizzare Taxi Driver.

Da parte mia, per Jodie Foster nutro grande ammirazione e rispetto, lei mi ha anche fatto scoprire uno dei pochi libri in grado di “spiegare” la depressione ai non depressi: Darkness Visible[5] di William Styron.

[1] C’è qualche bisticcio, poiché taluni reputano essere la (o anche la) fotografia l’ottava, ma essendo la nona il fumetto, tertium non datur.

[2] Tanto che non era una stranezza poter sentire come fresco un film vecchio di anni: che emozione la prima volta che vidi La caduta degli dei, forse dieci anni dopo la sua uscita.

[3] Meglio le flessioni su un braccio solo di Rocky Balboa o quelle battendo le mani di Travis Bickle? Quanti hanno steso il braccio e posto il pugno sulla fiamma a gas?

[4] Pensate alla canzone “New York” dei Decibel.

[5] In Italiano Un’oscurità trasparente.