C’è un detto, pare, secondo cui ogni città inglese che non sia Londra detiene il primato di essere la più brutta città inglese.
Ho girato poco l’Inghilterra ma abbastanza per poter dire che forse c’è del vero in tutto ciò. D’altronde lo dicevano già Black Sabbath e Judas Priest, entrambi provenienti da Birmingham (capitale dell’industria siderurgica e più tardi nota anche per aver fatto da scenario a quasi tutti i romanzi di Jonathan Coe), che il motivo principale per cui si erano messi a fare musica era perché in giro non c’era niente di interessante da fare.
Detto questo, non so come sia Hull ma di sicuro i Life vi ci stanno piuttosto stretti, a giudicare dalla musica che suonano e dall'immaginario contenuto nei loro testi.
“A Picture of Good Health” arriva due anni dopo “Popular Music”, conservando intatta l'ironia che li ha sempre contraddistinti ma giocandoci ancora più in profondità: se si leggono i testi nella prospettiva del titolo ci si rende infatti conto che questa “Immagine di buona salute” che i nostri vorrebbero dare si rivela del tutto impraticabile e illusoria. Dal malato di sesso, al genitore separato che si divide tra il figlio e il pub cercando disperatamente di essere adeguato al proprio ruolo, ai numerosi ritratti di instabilità mentale che affiorano dalle canzoni, si direbbe che il secondo disco di questi ragazzi britannici ci riporti il ritratto di una società alla deriva.
Ma attenzione che non si parla di denuncia politica. Semmai questo poteva essere presente nel disco d'esordio, non qui. Qui quel che conta è la dimensione umana, la drammatica consapevolezza che tra l'immagine edulcorata che ogni giorno ci impegniamo a dare di noi stessi e la cruda realtà dei fatti c’è spesso e volentieri uno iato incolmabile.
Dal lato prettamente musicale, colpisce in positivo il fatto che ci sia stato un notevole incupimento di suoni e atmosfere, con una nuova vena di rabbia e oscurità che ha preso in parte il posto dell'a tratti solare irruenza Punk dei primi singoli.
Il risultato è, come era lecito aspettarsi, una bella mazzata sui denti, 30 minuti di martellamento incalzante dove le sghembe geometrie dei Fall si fondono con le ritmiche a la Clash, senza dimenticare qualche breve inserto di gelide atmosfere Post Punk, unita all'attitudine hooligan degli Idles.
Tutto questo, tenendo costantemente l'occhio fisso all'orologio, con la preoccupazione di non superare mai i tre minuti di musica, in una ricerca dell'essenziale e del refrain vincente per spaccare le classifiche.
A tratti ci si riesce (l'opener “Good Health” ma anche il singolo “Bum Hour” e soprattutto “Half Pint Fatherood”, assolutamente letale e, immagino, futura protagonista nei concerti del tour), altre volte un po’ meno ma direi che nel complesso questa seconda prova risulta convincente, un passo avanti rispetto all'esordio ed una esplicita indicazione del loro valore.
Certo, siamo distanti da Murder Capital e Fountaines DC, che ci hanno così tanto esaltato quest’anno ma allo stesso modo questi Life sanno dire la loro e devono essere guardati con attenzione. Chi può vada a sentirli a Bologna e ci faccia sapere.