Ho tentennato molto tempo per recensire questo disco, in quanto pubblicato solo in formato digitale e con una limited edition di 50, dicesi (come annunciavano gli imbonitori d’antan) solo 50, copie di musicassette. Mi chiedevo infatti: ma ha senso recensire un disco con una diffusione così limitata, peraltro presente in un solo formato che, seppur tornato definitivamente in auge, è comunque, per definizione, di nicchia (sfido chiunque di voi a dirmi chi possiede ancora un lettore di musicassette)?
Ma poi, di fronte alla bellezza di molti di questi acquarelli sonori, sono capitolato.
Questa compilation, infatti, che raccoglie molti pezzi editati singolarmente negli ultimi anni, con l’aggiunta di tre inediti, sia sotto il moniker Looper sia come Vertigo, non può passare sotto silenzio, come sembra stia succedendo sia per la stampa italiana che estera.
I Looper sono Stuart David (bassista e co-fondatore dei Belle & Sebastian) e sua moglie Karn che, dopo un silenzio protrattesi per qualche anno, nel quale si sono entrambi dedicati ad altro, tornano a noi con questi pezzi che, come dichiarato dallo stesso Stuart: “Sono stati originariamente scritti per l’inclusione in varie playlist lo-fi jazz-hop e destinati ad un ascolto marginale. Abbiamo cercato di mantenere quell’esperienza di ascolto mentre raccoglievamo queste tracce insieme come un unico album”.
L’ascolto del disco conferma quanto dichiarato da Stuart, seppur incisi in momenti distinti, questi pezzi sono tutti accomunati da un medesimo “sentimento”; si passa quindi dalla dolcezza evocativa dell’introduttiva “Faraway near”, per passare ai dolci tocchi pianistici di “Blurried stars” e continuare con i tenui arpeggi chitarristici di “Day of days” e di “Always almost”.
Dopo il lounge spruzzato al french touch di “Cote d’azur” (pezzo che avrebbe potuto essere la perfetta sigla di Love Boat, ve lo ricordate?) si passa alla camminata claudicante di “Heatwave”, per poi proseguire, qualche brano più avanti, con il rag-time di “South beach Kiosk”.
Il mood malinconico di questa compilation, ritorna con la successiva “Summer or roseangle”, increspandosi un poco con la jazzistica “Up high”, per poi di nuovo acchetarsi con la soavità musicale della titletrack “A luminous place”.
Proseguendo nell’ascolto troviamo anche “Vanilla Skies”, dove le note di piano, stavolta elettrico, ci cullano al ritmo jazz hop sopra richiamato da Stuart David, e, a questo punto, come non ricordare che il brano più famoso dei Looper è proprio “Mondo 77” presente nella colonna sonora del quasi omonimo film Vanilla Sky?
Bene, se avete presente quel pezzo, dimenticatelo, il mondo musicale dei Looper, rispetto al quasi house-beat di tale brano è come si fosse ritirato in uno spazio intimo dove il break cala ad un ritmo quasi “brachicardico”.
La raccolta trova la sua conclusione con “Glider” dove una serie di arpeggi chitarristici, risaltano su un tappeto percussivo soffice.
Non vi nascondo che l’apprezzamento (o meno) di questo disco si fonda sul vostro mood di approccio e di ascolto, e comprenderei anche l’obiezione di chi, ad un ascolto “completo” di tutti i 18 brani, possa ritrovare una troppo marcata uniformità di fondo tra di essi.
Per evitare quanto sopra, il mio consiglio è di approcciarsi all’album, anche sulla base del fatto che l’ascolto digitale permette una “atomizzazione” dell’ascolto, a “piccole dosi”.
Così facendo, potrete scoprire che il “fil rouge” che unisce questi bozzetti sonori è proprio il peculiare beat “morbido” di molti dei pezzi della raccolta che, entrando nel mood del disco, ci porta naturalmente a rallentare il ritmo insopportabile della nostra quotidianità per lasciarci cullare dalla reverie, donandoci un tempo che dobbiamo regalarci per permetterci di fermarci e gettare uno sguardo interiore e, forse più limpido, a noi e a chi ci è vicino.