È bello sapere che tutta l’esperienza del breakbeat e della drum’n’bass dei decenni scorsi non è passata invano. Nessuno avrebbe mai scommesso sul fatto che certa musica elettronica realizzata con i campionatori e software avrebbe poi influenzato il modo di suonare dei musicisti in carne e ossa. Batteristi che sviluppano pattern impossibili generati con il cut&paste, bassisti che cercano e raggiungono note gravi ai limiti della percezione, solisti che ripetono in loop all’infinito frasi decontestualizzate da temi e riproposte come riff a sé, per un nuovo modello di improvvisazione.
Tutto questo si ritrova anche nel jazz e nella fusion, generi che, in questo modo, allargano il loro bacino di utenza e valicano i ristretti club dei puristi. “A Humdrum Star”, il nuovo lavoro degli inglesi GoGo Penguin (ma in generale tutta la loro produzione) è la conferma di tutto ciò e - a dispetto del titolo - tutt’altro che monotono. Immaginate un disco di Aphex Twin o Roni Size in cui ogni traccia generata artificialmente prende vita in uno strumento acustico. Il rumore che trova una sua corrispondenza nel pianoforte. Ecco: i GoGo Penguin sono la versione Blue Note di questo modo di intendere la musica.
I GoGo Penguin sono un trio strumentale di Manchester composto da Chris Illingworth (piano), Nick Blacka (contrabbasso) e Rob Turner (batteria). Giunta al quarto lavoro, la band sembra essersi lasciata completamente impadronire e guidare dai canoni della musica elettronica nella realizzazione di nove tracce (dodici nella versione deluxe) in cui si accavallano ritmi mozzafiato, giri di basso trascinanti e una cascata di note di piano arricchita da qualche suono extra.
Nulla di mai sentito, sia chiaro. Ma mettere ordine nella fusion grazie ai modelli imposti dalla regolarità della drum’n’bass è sicuramente piacevole da sentire e consente di raccapezzarsi in un genere che, talvolta, invoglia i più scettici a cambiare canale.
La sezione ritmica è la vera bomba di questo disco, un vero e proprio magma in costante ridefinizione battuta dopo battuta che riflette perfettamente la massima libertà delle sperimentazioni elettroniche con soluzioni sulle quali è impossibile non lasciarsi travolgere.
Il livello superiore, quello del pianoforte, è un avvincente susseguirsi di temi tra fusion e musica classica moderna e contribuisce al calore che costituisce il vero valore aggiunto di “A Humdrum Star”, con momenti in cui l’influenza dell’EDM si manifesta addirittura con parti suonate manualmente come sequencer. Impossibile trovare dissonanze, incertezze tonali dovute a note calanti o qualunque cosa riconducibile al blues. Siamo più dalle parti delle trame algide di Philip Glass mediate, per modo di dire, dai Four Tet.
Difficile dire se “A Humdrum Star” costituisca un punto di arrivo per l’evoluzione musicale di questa interessante formazione inglese. La formula adottata dai GoGo Penguins è di per sé open allo stesso modo con cui i pionieri degli stili nati davanti al computer si sono lasciati guidare dai programmi di editing multitraccia. Qui, al centro, ci sono il cuore e la tecnica, lungo composizioni che potrebbero durare all’infinito e sempre così irrisolte, lasciando l’ascoltatore in balia delle emozioni.