Se la via per un cinema di genere nostrano ben fatto deve passare dall'omaggio, dalla citazione, dal gioco meta, allora che sia! Il film di Roberto De Feo (già regista di The nest) e di Paolo Strippoli guarda in maniera aperta, fin dal titolo, all'horror classico americano, creando un gioco di rimandi e strizzate d'occhio che fortunatamente non rimane fine a sé stesso ma in buona misura esplora anche la tradizione nostrana gettando idee e basi, magari ancora elementari e non troppo approfondite, che possono aprire la via a un filone, quello del folk horror italiano, che sicuramente non incontrerebbe nessuna difficoltà nel reperire fonti, tradizioni e figure inquiete per alimentare la fantasia di sceneggiatori e registi della penisola. De Feo e Strippoli riescono a mantenere in equilibrio i due aspetti del film, seppure all'apparenza il gioco al rimando possa sembrare predominante per la naturale inclinazione dello spettatore all'appagamento nel riconoscere qualcosa per lui noto e magari ampiamente apprezzato, in A classic horror story c'è anche altro, ma andiamo per ordine.
Si apre sulle note de Il cielo in una stanza di Gino Paoli; Elisa (Matilda Lutz) è una giovane ragazza che sta prendendo in considerazione un'interruzione di gravidanza, spinta all'atto anche dalla madre che teme per il futuro della figlia, per raggiungere la famiglia in Calabria si unisce ad altri viaggiatori per un carpooling: Mark (Will Merrick) e Sofia (Yuliia Sobol), una coppia di ragazzi che sta andando in vacanza, Riccardo (Peppino Mazzotta), un medico poco socievole, e lo studente di cinema Fabrizio (Francesco Russo) di ritorno a casa. Mentre Fabrizio documenta il viaggio, qualcuno beve, qualcuno si fa i fatti suoi, il camper che usano come mezzo di trasporto macina chilometri. In nottata, mentre Mark è alla guida, il gruppo ha un incidente e il camper finisce contro un albero; Mark rimane ferito, impossibilitato a muoversi, per fortuna Riccardo è medico e prende in mano la situazione. Dopo qualche ora di sonno il gruppo si risveglia ma il camper non è più sul ciglio della strada bensì in una radura al centro della foresta vicino a una strana e solitaria casa nel bosco. Spaventati dalla situazione Fabrizio e Riccardo esplorano i dintorni in cerca della strada fino a trovare tra gli alberi una scena raccapricciante: teste di maiali impalate ancora grondanti sangue e tre fantocci addobbati come divinità pagane sui toni del rosso; secondo Fabrizio sono tre figuri della tradizione calabrese che si dice diedero origine alle tre mafie, i loro nomi Osso, Mastrosso e Carcagnosso. Intanto le ragazze si avventurano nella casa.
Come da titolo, un classicissimo. Nel film si leggono rimandi a pezzi di storia dell'horror, nelle atmosfere, negli ambienti ma anche nel girato di alcune sequenze che riprendono in maniera quasi pedissequa momenti celebri di altri film, su tutti si legge prepotente la presenza del recente Midsommar di Ari Aster, ma anche Misery non deve morire, il capostipite Non aprite quella porta, per alcune dinamiche di prossimità anche il The village di M. Night Shyamalan e altre fonti ancora. Tutto funziona bene, c'è solo un momento in cui la sceneggiatura potrebbe non trovare la giusta spiegazione, ma per il resto tutto gira a dovere, la regia così come le scelte degli ambienti riescono a creare quell'atmosfera malsana che crea la giusta tensione. Inoltre le maschere e gli abiti dei carnefici, un misto di vesti cerimoniali pagane, legno e foggia da animali selvatici, incutono il giusto timore, non si eccede nelle scene truci ma nella mente dello spettatore l'orrore dilaga più volte. Nello sviluppo della trama, arrivati al punto di svolta, si assestano un paio di bei colpi, almeno uno potenzialmente intuibile ma comunque davvero ben giocato, l'apertura finale cambia un po' le carte in tavola e dona un giusto tocco di personalità al film di De Feo e Strippoli. Straniante ma azzeccata la scelta di inserire classici della canzone italiana in colonna sonora, geniale l'utilizzo di La casa di Sergio Endrigo, belli i volti, a parte Merrick e Sobol un po’ defilati e meno caratterizzati nei personaggi, gli altri fanno un ottimo lavoro, la Lutz è già da tempo padrona del genere e qui è un'ulteriore conferma, convincente Mazzotta che abbiamo imparato a conoscere nei panni di Fazio, agente in forza al commissariato di Salvo Montalbano, ottimo Francesco Russo. Sul finale un'altra scelta di casting indovinatissima e che qui non menziono per non anticiparne la comparsa a chi non avesse ancora visto il film, chiusura con la quale i registi si tolgono probabilmente qualche sassolino dalle scarpe.