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REVIEWSLE RECENSIONI
A Chaos of Flowers
Big/Brave
2024  (Thrill Jockey)
ALTERNATIVE AMERICANA/FOLK/COUNTRY/SONGWRITERS
9/10
all REVIEWS
24/05/2024
Big/Brave
A Chaos of Flowers
Dietro tutte le etichette che possiamo apporre, dietro i muri di suono, le distorsioni, i vocalizzi e il rumore di fondo, i Big/Brave si confermano una band gigantesca, che con "A Chaos of Flowers" recupera le sue profonde radici Folk e Blues.

Ai Big/Brave essere definiti una band Metal non è mai andata giù. La tentazione è forte, in effetti, dato il carattere estremo con cui da sempre portano avanti la loro proposta, tra vocals urlate e chitarre deflagranti e ultra distorte. Eppure, spingere sempre più in là il limite dei mezzi espressivi, sommergere le melodie sotto molteplici strati di feedback, disorientare e mettere a disagio l’ascoltatore, è un qualcosa che travalica da sempre i confini tra i generi, basti pensare ai Sun O))) o agli Swans, artisti che tutto potrebbero essere definiti tranne che Metal, nonostante qualcuno ci abbia provato.

Il trio canadese, arrivato al settimo disco in carriera (ottavo, se contiamo la splendida collaborazione con The Body del 2021) dimostra di non avere intenzione di ripetersi, ed inserisce alcuni parziali elementi di novità, all’interno di una ricetta ormai consolidata.

Il titolo, A Chaos of Flowers, quasi un ossimoro, è significativo di questo nuovo approccio, soprattutto se si guarda alla copertina, quasi identica a quella del precedente Nature Morte, uscito lo scorso febbraio, ma opposta nello sfondo, là nero, qui bianco.

 

Che voglia rappresentare il placarsi della furia all’insegna di una maggiore pacificazione? L’iniziale “I Felt a Funeral”, primo singolo, da cui è stato estratto anche un video, sembrerebbe confermare tale impressione: un Drone Folk ipnotico sulla scia dei Lankum, che se da una parte trasmette inquietudine, dall’altra rinuncia alla proverbiale sporcizia sonora del gruppo, per concentrarsi maggiormente sull’aspetto melodico, con le linee vocali salmodianti di Robin Wattie. Le chitarre (Mathieu Ball, oltre alla stessa Wattie) tuttavia graffiano ugualmente, inserendosi brutalmente negli inserti strumentali, e la struttura si carica gradualmente di tensione.

La successiva “Not Speaking of the Ways” conferma le prime impressioni: le chitarre sono sempre in primo piano, con la loro distorsione a tratti sulfurea, ma la furia è in generale più controllata ed il cantato di Robin molto più attento all’aspetto melodico, dosa molto di più la voce, concentrandosi maggiormente su tonalità medio basse.

 

C’entra sicuramente il concept attorno a cui ruota il disco, una serie di poesie di autrici femminili come Emily Dickinson, Akkiko Yosano, Renée Vivien, Esther Pope e Pauline Johnson, connesse a temi civili come il pacifismo nel Giappone del secondo dopoguerra o il movimento per i diritti civili negli anni Sessanta in America.

Dall’altra parte c’è la produzione di Seth Manchester, ormai un nome di riferimento per questo tipo di suoni in bilico tra violenza e rarefazione (Lingua Ignota e Model/Actriz, tra gli altri) che ha saputo conservare tutto ciò che è disturbante e ossessivo nella musica della band di Montreal (sentitevi “Canon: in Canon”, lenta e pesante al limite del Doom, oppure “Quotidian: solemnity”, con parti di chitarra decisamente molto sature) ma allo stesso tempo ha fatto emergere elementi che in passato venivano conservati più sullo sfondo (“Chanson pour mon ombre”, unico brano in francese, è prevalentemente acustica, anche se nella seconda parte subentra un movimento ritmico che appare volutamente slegato dall’andamento principale).

 

Dietro tutte le etichette che possiamo apporre, dietro i muri di suono, le distorsioni, i vocalizzi e il rumore di fondo, i Big/Brave sono, e fondamentalmente lo sono sin dagli esordi, un gruppo dalle profonde radici Folk e Blues. A Chaos of Flowers rende questo dato più evidente, e soprattutto lo fa un brano come “Moonset”, aura sacrale quasi da preghiera, un finale lungo, strascicato, la perturbazione da cui scaturisce, per contrasto, una sentita aspirazione all’estasi.

Ciliegina sulla torta, le ospitate di Tashi Dorji, che impreziosisce col suo stile fantasioso “Not Speaking of the Ways” e “Chanson pour mon ombre”, e di Patrick Shiroishi, sassofono sempre su “Not Speaking of the Ways”.

Ennesima conferma e ulteriore passo avanti per una band assolutamente gigantesca. L’anno scorso li abbiamo visti dalle nostre parti, speriamo che decidano di replicare anche a questo giro.