Una delle più belle canzoni d’amore mai scritte è una canzone che racconta di un amore finito. E non c’è da stupirsi nemmeno tanto, se si pensa che, quasi sempre, sono gli amori impossibili o sfortunati a essere ispirazione per canzoni o opere letterarie immortali.
Quando si pensa all’amore, infatti, non è un caso che nell’immaginario collettivo il paradigma di questo sentimento sia la storia di Romeo e Giulietta, tragedia di sangue e dolore, narrazione di un amore destinato all’eternità proprio in virtù della sua impossibilità a radicarsi nel quotidiano e quindi a essere banalizzato dall’abitudine.
Nascosta dietro le liriche di A Case of You non ci sono eventi tragici e sventurati come quelli occorsi agli amanti shakespeariani, ma è fuor di dubbio che il testo non parli di un amore felice o realizzato. Fonte d’ispirazione dovrebbe essere la rottura della relazione della Mitchell con Graham Nash, mentre altri sostengono, invece, che si tratti di un’infatuazione impossibile di Joni per Leonard Cohen. Comunque sia, la bellezza della canzone travalica il mero dato storico e diviene universale e sofferta elegia a un rapporto alla deriva o impossibile da concretizzarsi, nonostante i sentimenti siano puri e totalizzanti.
Il brano venne scritto nel 1970 e compare in Blue (1971), uno dei capolavori assoluti della west coast music e pietra angolare, al pari del coevo Tapestry di Carol King, del cantautorato femminile del decennio. Un disco scarno e asciutto negli arrangiamenti, composto da canzoni intimiste e introspettive, declinate attraverso il verbo del folk e pochissimi strumenti: la chitarra, il dulcimer e la voce carezzevole e colorata di mille sfumature della Mitchell.
Il fulcro del disco è proprio A Case Of You, una ballata meravigliosamente struggente e intima, in cui la songwriter canadese mette a nudo la propria anima senza filtri protettivi. Un mood quasi colloquiale esaltato dalla parca strumentazione: James Taylor alla chitarra acustica, Russ Kunkel alla batteria e Joni al dulcimer degli Appalachi. Un accompagnamento garbato che mette in risalto un falsetto svettante e gravido di emozioni.
A Case Of You, dicevamo, è una delle canzoni d’amore più apprezzate di sempre, ed è davvero strano che sia così, perché fin dal primo verso Joni ci dice chiaramente che quell’amore è finito (“Just before our love get lost…”) a causa delle promesse fatte dal suo amante e mai mantenute (“Hai detto: sono costante come una stella del nord/E io ti ho detto: costantemente nell’oscurità”).
Eppure, il legame fra i due amanti è ancora strettissimo: lui non ha dato stabilità al rapporto e lei ha una natura indomabile, selvaggia, è attratta dalla solitudine (“I’m a Lonely Painter”) e da uomini che non hanno paura di peccare (“Ho paura del diavolo ma sono attratta da chi non ne ha paura”); ma tra i due c’è un vincolo quasi sacro (“Tu scorri nel mio sangue come vino sacro, il tuo sapore è così amaro e così dolce”).
Non solo. Tra Joni e il suo amante esiste anche un legame ulteriore, che farebbe pensare a un pigmalione artistico e a un reciproco scambio di ispirazione: “Hai detto amare è toccarsi le anime/Di certo hai toccato la mia/Perché parte di te si versa fuori dal mio corpo”). Due poli che si attraggono e si respingono, due anime inquiete che non possono stare insieme ma nemmeno posso fare a meno di amarsi.
E quando arriva il ritornello, la profondità di questo amore impossibile si svela attraverso una delle immagini poetiche più originali di tutta la letteratura rock: “Scorri nel mio sangue come vino sacro/Potrei bere un’intera cassa di te, tesoro/e riuscirei a reggermi in piedi/Continuerei a reggermi in piedi”.
L’ebbrezza dell’amore è un vino che non smetteremmo mai di bere.