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REVIEWSLE RECENSIONI
A Beautiful Place To Drown
Silverstein
2020  (UNFD)
PUNK METAL / HARD ROCK ALTERNATIVE ROCK
7/10
all REVIEWS
27/03/2020
Silverstein
A Beautiful Place To Drown
Fedeli a se stessi, dopo vent’anni di carriera, i Silverstein continuano a proporre la loro comprovata formula di post-hardcore sporcata di emo e scream, senza rinunciare ad alcune piccole novità: una bella strizzata d’occhio all’alternative rock e un bel pugno di featuring per ammiccare alle classifiche.

Che sappiano fare il loro lavoro è indubbio. I cinque canadesi di Burlington, Ontario, arrivano nel 2020 al nono album in studio e con la fortuna di iniziare con il piede giusto su due fronti: un titolo pressoché perfetto, che fa venire voglia di ascoltare il disco anche a chi non li conoscesse (A Beautiful Place To Drown, ovvero “un bellissimo posto dove annegare”) e una canzone d’apertura, “Bad Habits”, di quelle che dopo i primi secondi, se l’ascoltassi in un locale, alzeresti la testa, ti chiederesti “ma chi sono questi?” e apriresti immediatamente Shazam.

«I keep chasing bad feelings, I keep breaking down and never deal with it. Drown, cuz I?don't?wanna swim. I'm good?with bad habits».

«Continuo a inseguire cattivi sentimenti, Continuo a crollare e non ce la faccio mai. Affogare, perché non voglio nuotare. Sto bene con le cattive abitudini».

Boom.

L’effetto è questo per molte delle tracce dell’album e la ragione è una sola: mestiere. I ragazzi conoscono bene chi sono, cosa vogliono fare, come si costruisce una bella o una buona canzone (a livello di struttura, musicalità, picchi di aggressività ed emotività), sanno come si suona e come strizzare l’occhio alle classifiche. E la cosa non guasta nel momento in cui ai Silverstein non interessa affatto fare la band dura e pura (che poi, rispetto a cosa, visto il genere che suonano?), ma hanno la ben più interessante e longeva capacità sia di conservare i fan di sempre con delle formule collaudate, sia di catturare sempre qualche nuovo ascoltatore proponendo un mix comprovato ma sporcato sempre della giusta modernità. In questo caso, quel pizzico di alternative rock, di modern rock da classifica e di alternative pop emotivo che fa sempre breccia su qualche nuovo giovane cuore, anche su quelli meno avvezzi ai loro lati più “aggressivi”.

Come anticipato nell’incipit, A Beautiful Place To Drown colleziona una serie di collaborazioni di prima scelta, la maggior parte delle quali hanno portato a confezionare alcune delle più belle canzoni dell’album. Troviamo infatti anzitutto la bellissima “Bad Habits” in apertura, suonata assieme agli Intervals (band canadese di progressive metal), seguita letteralmente dalla “Burn It Down”, che vede la collaborazione di Caleb Shomo dei Beartooth, realizzando quello che può dirsi un perfetto mix di influenze tra le due band: a voi la scelta se definirlo Silvertooth o Bearstein.

Successivamente, in “Infinite”, troviamo Aaron Gillespie degli Underoath, per una traccia che è già stata pensata per il live, grazie ad alcuni passaggi di batteria che mimano il battito delle mani a tempo da parte del pubblico. A seguire, ad aprire la seconda metà del disco, con “Madness” si scopre la collaborazione più inattesa, quella con Princess Nokia, una nota rapper. Come mai? Il cantante Shane Told l’aveva sentita menzionare che era una loro fan e, una volta conosciuta, Princess Nokia aveva rivelato loro che i primi due album dei Silverstein erano stati una colonna sonora della sua adolescenza, oltre che una fonte di ispirazione per il suo disco. Una volta scritta “Madness”, quindi, resisi conto che avrebbero avuto bisogno di una voce femminile per quella traccia, i cinque ragazzi non hanno esitato nemmeno un attimo a proporle la collaborazione. E, bisogna dirlo, con ottimi risultati.

Il featuring più debole dei quattro, invece, è probabilmente quello realizzata per l’ultima traccia, “Take What You Give”, con Pierre Bouvier dei Simple Plan. Molto piacevole ma estremamente emo pop punk, con un incipit che ricorda le canzoni dei New Found Glory. Per quanto una traccia di chiusura, gioca un campionato diverso a livello di suoni e intenti e si amalgama meno piacevolmente con il resto dell’album.

Al di là delle ottime tre tracce già citate, si possono contare tra le meglio riuscite anche la bellissima “Coming Down”, che si sporca un po’ di punk e trova testi come «Chiudo gli occhi e nel buio sono libero. So chi ero ma non sono io. […] Attraverso il rumore e le luci lampeggianti, ho sentito l'aria fredda della notte dirmi nuove bugie». “Stop”, che nei suoi versi trova anche spazio per il titolo dell’album «È un bel posto per annegare, l'ultimo respiro è una costellazione. Nessuna luce arriva così in basso. E so che non lo farà mai». Ma anche le più melodiche “Shape Shift” e “Where Are You”.

Delle rimanenti, “September 14th” piacerà in particolare ai fan del pop punk, ma regala comunque dei passaggi interessanti. Di minor valore, invece, citiamo sicuramente “Say Yes”, che risulta una scelta un po’ banale e, posizionata verso la metà dell’album, fa calare un po’ il tiro e la qualità complessiva e “All On Me”, una traccia mediocre, troppo lenta, e che a metà del disco non era affatto necessaria, in cui, oltretutto, l’inserto di sassofono risulta più irritante che sperimentale.

Nel suo complesso, comunque, A Beautiful Place To Drown è un ottimo album, capace di fornire all’ascoltatore canzoni di qualità, principalmente per l’equilibrio sonoro che i cinque sanno generare e per la chitarra di Paul Marc Rousseau, sempre capace di trovare il riff e le soluzioni più accattivanti per ogni traccia, sempre sostenuta dalla curatissima batteria di Paul Koehler.

Un disco che abbraccia i gusti di una platea ampia e variegata, che a seconda delle proprie preferenze potrà trovare piacere nei lati più aggressivi, in quelli più melodici, nel lato scream o in quello più morbido… e che forse proprio per questo non riesce a soddisfare al 100% il fan di una specifica di queste sfumature.

Detto questo, però, la realtà rimane una: è rimasto in loop nello stereo di chi scrive, pressoché in esclusiva, per almeno una settimana (per ora). E questo la dice più lunga di mille analisi e mille parole.


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