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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
22/12/2022
Live Report
A.A. Williams, 16/12/2022, Bloom, Mezzago
La prima volta da headliner per la Williams nel nostro paese e un opening act firmato Karin Park, già collaboratrice dei norvegesi Arabrot, nonché artista solista di successo da diversi anni. Interpretazioni vocali di altissimo livello e artiste riservate, entusiaste e pronte a intrattenersi con il pubblico, purtroppo più scarso di quanto il valore della serata avrebbe meritato.

Su As The Moon Rests, terzo lavoro in studio di AA Williams, molto si è detto e scritto, anche qui su Loudd, per cui non è il caso di dilungarsi. Per quanto mi riguarda ha rappresentato una delle sorprese più belle di questo 2022, da una parte andando a stimolare la componente Metal dei miei ascolti (che è sempre lì, pronta a saltar fuori da un momento all’altro), dall’altra configurandosi come una delle prove più interessanti nell’ambito di una scena cantautorale al femminile che anno dopo anno sta regalando sempre più soddisfazioni (si potrebbe aprire una parentesi sul fatto che sia ancora necessario il distinguere il “femminile” da tutto il resto, ma non è il caso in questa sede).

Quella al Bloom di Mezzago rappresenta la prima volta da headliner per la Williams nel nostro paese ed è un peccato constatare come l’affluenza, nonostante il valore assoluto della serata, non sia delle migliori. Dispiace sia per il locale, che ha una storia importante alle spalle e che non ha mai smesso di offrire una programmazione di qualità, pur tra alti e bassi e fisiologiche difficoltà; ma dispiace soprattutto per il futuro della musica dal vivo, perché se si continuerà di questo passo, l’ho già scritto di recente, per certi artisti diventerà insostenibile suonare in certi paesi. Non a caso, l’appello a comprare il merchandising alla fine dello show è stato più accorato che altre volte, a dimostrazione che si tratta di un lavoro più che mai sul filo del rasoio.

 

In apertura, all’insolito orario delle 21.15 (complimenti al Bloom per il tentativo di far cominciare i concerti più presto anche nel fine settimana, hanno tutto il mio sostegno) c’è Karin Park, già collaboratrice dei norvegesi Arabrot, nonché artista solista di successo da diversi anni.

Non si tratta di una semplice apertura: nonostante il tempo a sua disposizione sia comunque limitato (45 minuti abbondanti, non di più), il valore di un disco come Private Collection, uscito ad ottobre, è indiscutibile e la voglia di vederla in azione è davvero tanta.

Molto interessante la scelta di suonare in mezzo al pubblico, posizionando in platea Synth, pedaliere ed effetti vari, facendo cenno ai presenti di avvicinarsi per stare maggiormente a contatto. Il palco è poi decorato con alcuni grandi globi luminosi, che con la loro tenue luce azzurra donano all’atmosfera un tocco di spettrale inquietudine.

Il set è minimale, con lei come unica protagonista a cantare i brani e a lavorare incessantemente sui Synth, ricreando comunque al meglio le atmosfere del disco, limitando molto l’utilizzo delle basi e riproducendo in diretta gran parte delle componenti sonore. Scaletta ovviamente incentrata sui brani di Private Collection, che sono molto scuri ed hanno un carattere più intimista rispetto alla sua produzione passata. C’è un inizio molto d’atmosfera con “Entwined”, tratta dalla collaborazione con Lustmord del 2021; suoni cosmici e vocalizzi ancestrali, che hanno il compito di accogliere gli spettatori e di proiettarli nella successiva “Traces of Me”, con cui il concerto prende il via. Bellissime anche “Opium” e “Bending Albert’s Law”, quest’ultima impreziosita da un’interpretazione vocale davvero commovente (da questo punto di vista è bravissima, la voce è espressiva, dotata di splendido timbro ed ottima estensione). Dopodiché il tiro si alza, la componente elettronica si fa più presente e si entra nei territori Electro Pop dei lavori precedenti, con due pezzi molto efficaci come “Out of the Cage” e “Thousand Loaded Guns”, suonate in versioni lievemente dilatate, per permettere al Beat di entrare sottopelle. A completare questa sezione più movimentata arriva anche lo splendido singolo “Tokyo By Night”, unica traccia up tempo nel nuovo album, la cui versione in studio è stata realizzata assieme a Hook N Sling. A chiudere, l’artista svedese di sposta sul palco, dove è stato sistemato un piccolo Pump Organ di colore bianco che, come lei stessa ci spiega, è vecchio di un secolo. Qui viene eseguita “Blue Roses”, intensa e profonda ballata che è tra le cose in assoluto migliori di Private Collection, una di quelle che ha dimostrato la statura assoluta della Park come autrice di canzoni. Da rivedere senza dubbio in un contesto tutto suo, magari con l’ausilio di qualche musicista in più; anche così però Karin Park ci ha emozionato, dimostrandosi artista di assoluto valore.

 

Mezz’ora di pausa ed ecco A.A. Williams, coadiuvata da una band di tre elementi (batteria, basso, tastiere-chitarra) con lei stessa che suona tutti i pezzi accompagnandosi alla chitarra.

L’inizio non poteva che essere affidato ad “Hollow Heart”, magniloquente traccia di apertura di As The Moon Rests, ideale anche per dare il via allo show. In rapida successione arrivano “Evaporate” e “Murmurs”, altri due pezzi da novanta del nuovo lavoro, col concerto che si avvia rapidamente verso i binari stabiliti. I suoni sono forse eccessivamente impastati (le tastiere, nelle parti in cui il Wall of Sound prende il sopravvento risultano un po’ sacrificate) ma nel complesso la resa è buona. La componente fondamentale della scrittura dell’artista britannica, soprattutto nell’ultimo lavoro, è questa efficacissima alternanza di piani e forti, con le strofe spesso vuote, la voce a stagliarsi in solitaria sopra leggeri accordi di chitarra o piano, e l’esplosione successiva delle chitarre, a sottolineare l’intensità delle melodie vocali e ad evocare atmosfere che si muovono tra il Doom e il Gothic. Bellissimi anche i momenti in cui le due chitarre dialogano tra loro, allungando i finali, come durante “Golden” e “The Echo”, apice assoluto del concerto, oppure producendosi in tessiture ritmiche che ricordano i migliori Paradise Lost (quelli di Icon, giusto per capirci).

Il tutto valorizzato da un’interpretazione vocale di altissimo livello, in generale un atteggiamento molto riservato (parla pochissimo tra una canzone e l’altra, anche se si capisce che è contentissima di essere lì), le luci bassissime che accentuano il fascino da malinconia scura dell’intero set. In mezzo ad un ultimo disco eseguito quasi per intero (da sottolineare anche la resa magnifica della title track) ci sono anche una manciata di episodi dai due dischi precedenti, nel complesso meno carichi di distorsione e più eterei nell’intenzione: “Control” e “Belong” dall'EP omonimo, “Love and Pain” e la conclusiva “Melt” da Forever Blue, il suo disco d’esordio.

 

Il pubblico ha seguito con attenzione e partecipazione per tutto il tempo, zero chiacchiere e commenti inutili, ha dato l’impressione di essere in totale sintonia con ciò che accadeva sul palco.

Da segnalare poi la disponibilità di entrambe le artiste, che al termine del concerto si sono intrattenute a lungo coi presenti, firmando dischi e scattando foto. Serate del genere sono l’ideale per chi ama la musica intesa come esperienza di ascolto e di comunione d’intenti con l’artista di turno. Speriamo davvero di poterne godere ancora in futuro.

 

Photo Credit: Lino Brunetti