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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
9 – La Visibilità (Pt.4) – Stop, and look!
Riletture Americane - Liberi percorsi nella musica commerciale del dopoguerra
CLASSIC ROCK
all RE-LOUDD
06/05/2019
Riletture Americane - Liberi percorsi nella musica commerciale del dopoguerra
9 – La Visibilità (Pt.4) – Stop, and look!
Ci fotografiamo per ricordare a noi stessi di esserci, vivi, presenti; reali. L’immagine si fa garante dell’esistenza e ambasciatrice di “noi” presso “l’altro”.
di Giovanni Capponcelli

“You don’t look, do you? You don’t look at the world, you just drive straight through it. Stop, and look!"

(Wallander - The Fifth Woman)

 

Il Rock ha spesso guidato attraverso veloci autostrade, sgasando a folle velocità per città rivestite di neon; ha attraversato stati, deserti, oceani e palchi, fronteggiando isteriche masse umane in delirio per l’eroe di turno. Più raramente si è fermato, ad osservare. Ad osservare la realtà attorno a lui, a considerare la visibilità delle cose, o come esse appaiono agli occhi di chi le osserva. Come lo sguardo, ancor prima del cervello, costruisca la propria realtà.

 

I am a passenger

I stay under glass

I look through my window so bright

I see the stars come out tonight

I see the bright and hollow sky

Over the city's a rip in the sky

And everything looks good tonight

Iggy Pop – The Passenger (1977)

 

Iggy Pop torna sul tema dello sguardo sette anni dopo la morbosa “TV Eye”; “The Passenger”, quel robusto e martellante hard rock ormai diventato un classico, cala il performer nei panni dell’osservatore, seduto sul sedile del passeggero, da cui osserva il mondo che gli scorre accanto.

Non c’è vera azione, il movimento del protagonista è fittizio; c’è solo contemplazione disincantata di suburbi che passano come vecchie diapositive, deformate attraverso il vetro del finestrino. Nel ritornello, la visione diventa così profonda da diventare addirittura possesso.

And everything was made for you and me

All of it was made for you and me

'Cause it just belongs to you and me

So let's take a ride and see what's mine

Iggy Pop – The Passenger (1977)

 

A suo modo un inno per tutti coloro che odiano tenere il volante tra le mani e si abbandonano ipnotizzati con la testa stanca appoggiata al vetro. Gli spettatori della vita. Scriveva Montale in “Falsetto”: Ti guardiamo noi, della razza / di chi rimane a terra.


 

Picture yourself when you're getting old,

Sat by the fireside a-pondering on.

Picture book, pictures of your mama,

taken by your papa a long time ago.

Picture book, of people with each other,

to prove they love each other a long ago.

The Kinks – Picture Book (1968)

The Village Green Preservation Society, sesto album di studio dei Kinks, è un’ode color pastello alla memoria; non priva di nostalgia ma nemmeno del tutto abbandonata alla tirannia dei tempi che cambiano. In due brani del concept, Ray Davis decide di accontentarsi di definire l’esistenza attraverso la sola immagine di essa.

Mi vedono, quindi esisto. O almeno…sono esistito.

People take pictures of each other,

Just to prove that they really existed,

Just to prove that they really existed.

People take pictures of each other,

And a moment could last them forever,

Of the time when they mattered to someone.

The Kinks - People Take Pictures of Each Other (1968)

 

Ci fotografiamo per ricordare a noi stessi di esserci, vivi, presenti; reali. L’immagine si fa garante dell’esistenza e ambasciatrice di “noi” presso “l’altro”.

Ma l’immagine è anche l’espediente per riannodare i fili del ricordo: imprigioniamo in uno scatto la forma e i volti di un passato che la nostra mente, da sola, non può più padroneggiare. In ultimo diviene perfino un modo per esorcizzare la morte e ribadire con forza “Siamo Qui! Siamo vivi!”.

La presenza, o meglio, la permanenza di tracce di un passato prossimo un po’ idealizzato è l’idea portante di tutto Village Green.

 

Ain’t it just like the night to play tricks when you’re tryin' to be so quiet?

We sit here stranded, though we’re all doin’ our best to deny it

And Louise holds a handful of rain, temptin’ you to defy it

Lights flicker from the opposite loft

In this room the heat pipes just cough

The country music station plays soft

But there’s nothing, really nothing to turn off

Just Louise and her lover so entwined

And these visions of Johanna that conquer my mind

Bob Dylan - Visions of Johanna (1966)

Questo è il brano in cui Dylan costruisce il raffinatissimo paradosso della visione in assenza di oggetto; tanto che la visione diventa essa stessa l’oggetto. Il viaggio, la ricerca, l’attesa, l’idealizzazione di Johanna prendono totalmente il posto della sua persona fisica, tanto che non importa più della sua effettiva esistenza. Petrarca a New York.

In the empty lot where the ladies play blindman’s bluff with the key chain

And the all-night girls they whisper of escapades out on the “D” train

We can hear the night watchman click his flashlight

Ask himself if it’s him or them that’s really insane

Louise, she’s all right, she’s just near

She’s delicate and seems like the mirror

But she just makes it all too concise and too clear

That Johanna’s not here

The ghost of ’lectricity howls in the bones of her face

Where these visions of Johanna have now taken my place

Now, little boy lost, he takes himself so seriously

He brags of his misery, he likes to live dangerously

And when bringing her name up

He speaks of a farewell kiss to me

He’s sure got a lotta gall to be so useless and all

Muttering small talk at the wall while I’m in the hall

How can I explain?

Oh, it’s so hard to get on

And these visions of Johanna, they kept me up past the dawn

Inside the museums, Infinity goes up on trial

Voices echo this is what salvation must be like after a while

But Mona Lisa musta had the highway blues

You can tell by the way she smiles

See the primitive wallflower freeze

When the jelly-faced women all sneeze

Hear the one with the mustache say, “Jeeze

I can’t find my knees”

Oh, jewels and binoculars hang from the head of the mule

But these visions of Johanna, they make it all seem so cruel

The peddler now speaks to the countess who’s pretending to care for him

Sayin’, “Name me someone that’s not a parasite and I’ll go out and say a prayer for him”

But like Louise always says

“Ya can’t look at much, can ya man?”

As she, herself, prepares for him

And Madonna, she still has not showed

We see this empty cage now corrode

Where her cape of the stage once had flowed

The fiddler, he now steps to the road

He writes ev’rything’s been returned which was owed

On the back of the fish truck that loads

While my conscience explodes

The harmonicas play the skeleton keys and the rain

And these visions of Johanna are now all that remain

Bob Dylan - Visions of Johanna (1966)

Una lunga rincorsa tra le incarnazioni di Johanna, idea quasi platonica che si manifesta in epifanie di amori privati per le strade della città, nei cui vetri, nei cui schermi nasce il riflesso di un desiderio interiore.

L’idea ritorna, persiste, imprigiona il pensiero in un loop tautologico da cui non si esce; la struttura circolare della canzone è come la ruota in cui corre perennemente il criceto. Ma Johanna, come essere umano, come donna, non c’è. Si aggira per il Village come l’apparizione di uno stato mentale.

Rimane solo Louise. E una visione.

Essendo, con “Sad Eyed Lady of the Lowlands”, il capolavoro di Blonde on Blonde, “Visions of Johanna” si candida ad essere una delle più affascinanti e profonde canzone mai scritte.


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