Come dichiarato dagli stessi Subsonica, “8”, il loro nuovo album, costituisce un viaggio tra i diversi momenti musicali che hanno vissuto ed attraversato in oltre vent’anni di musica, dagli inizi sino ad oggi.
L’album inizia così col sound anni ’90 di “Jolly Roger”, in cui batteria e basso pulsano incessanti, riportando alla memoria l’era ‘big beat’, con tastiere e voce che ricordano l’influenza che certa musica d’oltremanica, su tutti i Prodigy, ha avuto sui cinque di Torino. Si prosegue con “L’incubo”, canzone in cui è presente il featuring di Willie Peyote, rapper loro concittadino, che si inserisce davvero bene, col suo parlato, tra le loro trame musicali. Si va avanti con “Punto critico”, che sicuramente funzionerà molto bene dal vivo, il cui ritornello riporta, così come ammesso anche dalla stessa band, ai tempi di “Microchip emozionale”, loro secondo album del ‘99, il cui testo è l’ennesima lucida ed asciutta fotografia del presente che i Subsonica sono sempre stati in grado di offrire al proprio pubblico. Si continua poi con “Fenice”, in cui a distinguersi sono le chitarre di Max Casacci, qui ben più presenti e taglienti rispetto ai primi tre brani dell’album.
Alla fine di questa quarta canzone inizia però a farsi strada una sensazione, ovvero non abbiamo ancora ascoltato nulla di nuovo rispetto a ciò che i Subsonica ci abbiano già fatto sentire in passato…
L’album prosegue quindi con “Respirare”, brano dal ritornello aperto e melodico, con notevoli potenzialità radiofoniche, impreziosito dai bei suoni del synth di Boosta, anche se in tutta onestà sembra un brano tratto da “Il codice della bellezza”, l’album solista di Samuel, piuttosto che dei Subsonica, in quanto smaccatamente pop nei suoi elementi e nel ritornello dalla facile melodia, buono sì, ma forse un po’ troppo leggero per ciò che ci si aspetta da loro. Si va avanti con “Bottiglie rotte”, primo singolo pubblicato a tarda estate che ha anticipato l’album, brano senza fronzoli e dal suono incisivo, già da settimane in heavy rotation radiofonica.
Giunti a questo punto i bpm diminuiscono: il primo episodio in cui ciò accade è “Le onde”, dedicata a Carlo Ubaldo Rossi, produttore torinese di fama internazionale e storico collaboratore della band, scomparso pochi anni fa, in cui i Subsonica tornano, ringraziando il cielo, a certe sperimentazioni, con la voce di Samuel che si insinua morbida tra le note del piano di Boosta, insieme ad altri suoni, impreziositi da delay ed effetti, che poco alla volta si aggiungono sino al crescendo finale del brano (probabilmente il migliore dell’album); il secondo è “L’incredibile performance di un uomo morto”, altra canzone che alza lo standard rispetto al resto, caratterizzata da cassa dritta e tom che sopra ad essa si intrecciano, il cui lungo finale è contraddistinto da infinite armonizzazioni vocali che come un mantra trasportano l’ascoltatore fino all’epilogo. La successiva “Nuove radici”, nona traccia, ci riporta ai Subsonica più classici, ma qui, ahimè, senza risultati degni di nota. La parte conclusiva dell’album, costituita da “Cieli in fiamme” e “La bontà”, ne è probabilmente anche la parte migliore, due canzoni che potrebbero costituire un nuovo punto di partenza per il futuro della band; tra l’altro, “La bontà” potrebbe anche essere un brano particolarmente azzeccato per chiudere i prossimi live (ricordiamo che il tour nei palasport italiani inizierà a febbraio, ma ci saranno anche altre date in giro per l’Europa).
Per comprendere meglio quest’opera nel suo insieme, riportiamo alcune parole di Max Casacci: “Abbiamo deciso di partire in retrospettiva dal suono delle origini: le prime due tracce sembrano uscite dal primo disco, la terza e la quarta da Microchip Emozionale, la quinta e la sesta sembrano pezzi di Amorematico e via così”. Ecco, alla fine dell’ascolto di “8” l’impressione che resta è proprio coerente con queste sue parole, che non fanno altro che confermare quanto già avevamo premesso all’inizio: l’album rappresenta un compendio della storia del sound della band (senza però essere un best of!), che dai loro inizi ci trasporta sino al loro probabile futuro. Ciò però ci pone dinnanzi alla loro ‘normalizzazione’, ovvero ad un’opera che è sì al 100% Subsonica, ma che allo stesso tempo presenta ben pochi elementi di novità, caratteristica che nel tempo li ha resi l’elemento di disturbo della musica pop italiana, qui però quasi del tutto assente.